Palazzo Municipale (Doria Tursi)

Le Guide


Carlo Giuseppe Ratti, 1780

Le osservazioni del Ratti, riguardo questo splendido palazzo, comprendono anche un breve accenno alla visita che fece a Genova la principessa Luisa Maria Teresa di Parma. L’edificio è «tutto eretto di marmi da sommo ad imo ne’ fianchi, e nella facciata, che più maestosa non può né idearsi né formarsi , con due nobili gallerie a’ fianchi di marmi pure ornate […]. Gli ornamenti della porta con figure, e i mascheroni con bel ghiribizzo sulle finestre lavorati, son opera di Taddeo Carlone: l’Architetto di tutto l’Edifizio fu Rocco Lurago Lombardo. Se vista l’esteriore bellezza: entrerete al di dentro troverete cose, che vi recheranno ammirazione principiando dal Portico, e nobile Cortile ornato di numerose colonne di marmo, così ben inventato e condotto, che rassembra una vaga scena di teatro. Vasti, e nobili sono gli appartamenti, e tanto, che alloggiarono ultimamente l’Infanta Luisa m. Teresa di Parma, con tutta la numerosissima sua Corte. Abita presentemente questo palazzo il Sig. Gaetano Cambiaso del fu Serenissimo Giovambatista, il quale ancora esso non scarseggia di buoni quadri; e tralasciati quelli della Sala con istorie del testamento vecchio, del Sarzana, se v’introdurrete nei salotti ne troverete altri più singolari» 

Anonimo, 1818

Il palazzo venne costruito per volere di Nicolò Grimaldi. Fu acquistato alla fine del XVI Secolo da Giovanni Andrea Doria, Duca di Melfi e dal figlio Carlo divenuto in seguito Duca di Tursi.
Nel 1820 divenne proprietà dei Savoia dopo un soggiorno della famiglia reale a Genova; dal 1838, per dieci anni, ospitò il collegio dei Gesuiti. Divenne infine, e lo è tutt’ora, sede del Municipio.
La descrizione fornita dall’Anonimo è essenziale: «ha due ali sulla linea della strada, ed il corpo di mezzo molti palmi addentro, senza porta principale […].
In breve il Palazzo Doria Tursi è il primo palazzo di Genova, sia sotto i rapporti dell’arte come ugualmente della ricchezza, e magnificenza. Il di lui estimo ascende ad un milione di lire Genovesi».

Jacob Burckhardt

Burckhardt scrive in merito a Palazzo Tursi: «Un Palazzo genovese, un palazzo dell’epoca d’oro della Repubblica, è carico di marmi e di pitture magnifiche: lo scalone in mezzo al vestibolo è ornato di statue; attraverso una galleria piena di busti antichi, si arriva a grandi porte, che si aprono nei saloni stupendi»

Federico Alizeri, 1875

Il lotto di terreno era stato acquistato nel 1560 da Luca Grimaldi che lo vendette, quattro anni più tardi, al cugino Nicolò Grimaldi principe di Salerno'. Nel 1593 il palazzo cambiò proprietari e per cessione passò a Gio. Andrea Doria, fu in questo periodo che, al corpo principale, vennero aggiunte le due logge laterali a tre arcate. Il palazzo cambiò numerosi proprietari, fu acquistato dai Savoia dopo di che ospitò il collegio dei Gesuiti per dieci anni, fino al 1848 quando vennero cacciati, infine fu ceduto agli uffici municipali che, fino a quel momento si trovavano in piccole stanze nell’ala sinistra di Palazzo Ducale.
La decorazione interna, voluta dalla famiglia Doria Tursi, secondo Alizeri, non è paragonabile alla magnificenza dell’esterno. A suo dire la famiglia faceva affrescare le stanze in tempi molto rapidi, a seconda degli ospiti che erano attesi; ad esempio, per accogliere Maria Teresa di Parma «dipinsero il Parnasso, l’Alessio, e alcun altro, e v’usaron plastica il Gaggini e il Carrea».
Molto del lavoro a fresco si perse nel corso dei secoli, nell’atrio lavorarono Bernardo Castello e il Piola del quale, all’epoca di Alizeri, erano ancora visibili porzioni di muro in cui aveva affrescato dei putti.
Leggendo Alizeri si intuisce che, in questo palazzo, era la statuaria a farla da padrona; nel cortile si trovavano: «varj busti e […] molte epigrafi scampati da luoghi rovinati o dismessi, eccettuata sol quella effige che G.B. Cevasco scolpì alla memoria del patrizio Giovanni Monticelli per varie guise benemerito dei cittadini. A questo tributo di civile riconoscenza s’aggiunse […] la libertà di un privato, il signor Luigi Ruggero, che ordinata al potente scalpello di Santo Saccomanno l’intera immagine in marmo di Giuseppe Mazzini, amò, meglio che possederla egli stesso, di rizzarla là ove si scerne all’entrar della scala» .
Un’altra statua, tutt’oggi visibile, è quella di Cattaneo Pinelli «cavaliere di Spagna, e insignito da Carlo V di tanti ordini e privilegj […]. Durò nel suo nascere infino a noi nelle stanze dei Padri del Comune, laddove egli stesso aveva ordinato d’esser posto in effige, col suo testamento […]. Sta scritto altresì […] che ovunque si tramutasse l’Uffizio de’ Padri, dovesse la statua esser tratta alle nuove stanze» .
Per quanto riguarda la decorazione ad affresco, leggiamo che molti di essi erano stati staccati dalla Chiesa di San Sebastiano e si trovavano da entrambi i lati dello scalone: «Cogli occhi in alto, v’è in cospetto il Carlone con quel Mosè che trae l’acqua dalla rupe: vivace istoria dove tutto si muove, ove i singoli attori si spiccan dal campo» il resto degli affreschi, rappresentanti il martirio di San Sebastiano erano opera di Domenico Piola.
«Chiedeva la dignità del Comune che i delegati del popolo sedessero in aula magnifica; e come la vasta Sala non pativa disagio che d’ornamenti, così fu chiamato Francesco Gandolfi, pochi anni sono, a storiar nello sfondo la somma gloria de’ fasti liguri: Cristoforo Colombo che presenta ai Reali di Spagna i prodotti della scoperta America» .
Nel Salotto Rosso, chiamato così per il colore degli addobbi, è ancora oggi custodito il violino di Nicolò Paganini, Alizeri accenna anche alla presenza della spada di Nino Bixio.
Nello studio del sindaco è conservata una tavola di bronzo «che in tempi anteriori all’era cristiana segnava confini ai Genuati e ai Veturj» si narra che venne dissotterrata nel 1506, in Val Polcevera, da un contadino; inizialmente, considerata di grande valore, venne murata nel Duomo, successivamente venne custodita dai Padri del Comune per giungere, infine, negli uffici municipali.


Bibliografia Guide

  • Alizeri Federico, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Bologna, Forni Editore, 1972 pag. 171-173
  • Burckhardt Jacob, Il Cicerone. Guida al godimento delle opere d’arte in Italia, Sansoni, Firenze 1952, pag. 380
  • Poleggi Ennio e Poleggi Fiorella (Presentazione, ricerca iconografica e note a cura di), Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818, Genova, Sagep, 1969 pag. 150-151
  • Ratti Carlo Giuseppe, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura scultura et architettura autore Carlo Giuseppe Ratti pittor genovese, Genova, Ivone Gravier, 1780, pag. 267-270
Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022