Le Guide
Carlo Giuseppe Ratti, 1766
Ratti descrive minuziosamente la Chiesa dell'Annunziata. Nelle prime righe ricorda la complessa storia dell'edificio. Costruito, nel 1228, dai Frati dell'Ordine degli Umiliati e dedicato a S. Marta, passò, nel 1509, ai Frati Minori Conventuali. Questi decisero di distruggere l'antica chiesa per costruirne una più grande e dedicarla a S. Francesco. Ma solamente nel 1537, in seguito all'insediamento dei Frati Conventuali, venne dedicata alla SS. Annunziata. Nelle pagine successive, lo scrittore esalta le qualità storico-artistiche dell'edificio, sottolineando come la famiglia Lomellini permise a quest'ultimo di raggiungere «...quella magnificenza, e splendore, che vi si vede, e dagli esteri tutti non senza stupore si ammira...». Loda poi la «...magnifica scala di marmo...», che si estende lungo tutta la facciata, e fornisce una descrizione particolareggiata dell'interno. Qui sottolinea come le colonne ed i contropilastri, i quali permettono di dividere la chiesa in tre navate, siano «...incrostati di marmo bianco, e rosso di Francia, con disegno e lavoro de' famosi Architetti Domenico Scorticone e Giacomo Porta Lombardi...». Ratti rimane, inoltre, colpito dagli stucchi dorati che ornano «...tanto le colonne delle navi quanto gli archi, su' quali posano [...] come altresì il cornicione, e il fregio, che per tutta la chiesa ricorrendo, vaga, e maestosa la rendono...». Di seguito elenca gli affreschi realizzati nella chiesa, sottolineando come la maggior parte del programma iconografico sia stato affidato ai fratelli Carlone e, solo in misura minore, abbiano contribuito il Sarzana e Gioacchino Assereto. Passa, infine, a descrivere le opere conservate in ciascuna cappella. Tra gli artisti, emergono i nomi di Domenico Piola, Aurelio Lomi, Niccolò Carlone, Bernardo Carbone e quello del Paggi.
Davide Bertolotti
Nella LXXXVII lettera, tratta dal libro La Liguria marittima, Davide Bertolotti descrive la Chiesa dell'Annunziata. L'autore ne apprezza «...la grandezza e benintesa armonia del suo tutto e delle sue parti...», «...la proporzione delle sue colonne...», e «.. la ricchezza e vivezza delle pitture che n'ornano pienamente le volte...». Inoltre afferma che, se fosse dotata di una facciata in grado di far trasparire la bellezza interna, potrebbe essere annoverata tra le chiese più belle d'Italia. Continua, poi, la descrizione riprendendo le parole del Lanzi, il quale la considera «...un monumento insigne della pietà e della ricchezza de'nobili Lomellini...», talmente bella da «...far onore a una grande città che a spese comuni l'avesse così accresciuta e così ornata per sua cattedrale...». Lanzi rimane colpito dalla magnificenza del ciclo d'affreschi collocati nelle tre navate (con storie veterotestamentarie, neotestamentarie e con episodi tratti dagi Atti degli Apostoli), opera dei fratelli Giovanni e Giovanni Battista Carlone. Il complesso programma iconografico permette ai due artisti di «...dare sfogo a una fantasia ricca di immagini e pronta a popolare cotanti quadri di figure pressochè innumerevoli in tanto spazio...». Bertolotti ne loda i contorni, ben precisi e distaccati, e l'effetto cromatico in grado di rimanere immutato nonostante il passare del tempo. Particolare è lo stile utilizzato dai due fratelli Carlone, talmente simile da far pensare all'opera di un unico maestro. Solo con molta attenzione si può notare come lo stile di Giovanni Battista sia caratterizzato da «...un gusto più squisito di tinte e di chiaroscuro...» e da «...una maggiore grandiosità nel disegno...». Lanzi ricorda, poi, i quadri ad olio di Giovanni Battista Carlone raffiguranti le storie di San Clemente e conservati nella Cappella omonima. Essi sono caratterizzati da «...un non so che di orrido...». Artista che l'autore ritiene degno di nota è Gio. Bernardo Carbone, definito il «...principe de ritrattisti nella scuola genovese...». Per la Chiesa dell'Annunziata realizzò la tavola del «re San Ludoviso al Guastato». Dapprima quest'opera non riscosse il successo sperato, così la committenza si orientò verso Parigi, e Claudio Francesco Beaumont eseguì due tavole per la chiesa genovese. Tuttavia l'artista francese non resse il confronto con il nostro e l'opera di Carbone risultò migliore. Infine, loda anche gli affreschi realizzati da Benso e Ansaldo, ma Bertolotti non ritiene opportuno riportarne la descrizione. Conclude poi ricordando la grande tela raffigurante l'Ultima Cena del Procaccini e il quadro di Simmeon Barabbino.
Federico Alizeri
Federico Alizeri, nella Guida turistica per la città di Genova, descrive la Chiesa dell'Annunziata e ne sottolinea il profondo legame con uno dei due conventi appartenenti alle suore Turchine. L'ordine fu fondato nel 1604 dalla beata Maria Vittoria de Fornari Strata. Le sue spoglie furono conservate nella chiesa dell'Annunziata poiché essa apparteneva alle Turchine. L'autore definisce la chiesa un "devoto tempietto" che sembra compensare la povertà del convento. Ricorda, poi, la prima tavola procurata dalle monache per ornare l'altare maggiore. Si tratta della cosidetta "Tavola del Mistero" realizzata dall'artista Gio. Bernardo Azzolino. Tra le altre opere viene menzionato il Crocifisso di Gio. Agostino Ratti, copia da un disegno di Michelangelo e situato sulla sinistra dell'altare. Lo scrittore si sofferma su altri due quadri provenienti dalla Chiesa della Natività, anch'essa di proprietà del monastero. Si tratta di un Presepio di G.B. Carlone e della Storia di S. Agostino e il Putto di Enrico Vaymer. Federico Alizeri definisce il primo «...d'un brio non comune al suo autore se pinge ad olio...»; la seconda «...d'un ritrattista che poco operò d'invenzione, e in quel poco non deesi sempre conoscere...».
I viaggiatori
Charles de Brosses
Nella VI lettera, scritta a Genova il 1 luglio del 1739, al Signor De Quintin Charles de Brosses esprime la sua meraviglia per la Chiesa dell'Annunziata. Infatti, sebbene consideri trascurabili gli affreschi e il portale, afferma: «...la struttura e il primo colpo d'occhio sono superiori a tutto ciò che ho visto di simile...». Rimane soprattutto colpito dalle «...due colonne screziate di bianco e rosso che fanno un effetto piacevolissimo...» e dalle «...colonne ritorte fatte di una sorta di agata collocate nelle cappelle del transetto...». Cita, inoltre, un quadro di Rubens, collocato nella cappella della Vergine, e la Cena del Procaccini (attribuita dall'autore a Giulio Romano). Infine sottolinea la bellezza dei marmi nella Cappella di San Luigi e le Cappelle di San Clemente e dei Lomellini. Lo stesso scrittore fatica a credere che quest'opera, ai suoi tempi non ancora terminata, fosse stata realizzata su giuspatronato di un privato (Nota 1).
- (Nota 1): Charles de Brosses si riferisce, qui, alla nota famiglia dei Lomellini. Nel 1591, una volta ottenutone il giuspatronato, si impegnarono ad arricchire e ristrutturare la chiesa. Il primo intervento, realizzato da Lorenzo Lomellini, era teso ad ampliare la Cappella Maggiore per collocarvi il coro dei frati e sostituire il tiburio con una cupola su tamburo. Ma furono i nipoti di Lorenzo ad effettuare le trasformazioni più radicali, dotando finalmente la chiesa di una facciata con un ingresso dignitoso (prima di allora c'era un ingresso laterale dovuto all’adiacenza della facciata con l'oratorio di San Tommaso e con l’osteria di Santa Marta). Gli interventi interni si limitarono al rivestimento delle colonne con marmo bianco di Carrara e rosso di Francia, alla realizzazione di stucchi, affreschi e dorature. Ma, mentre nel 1625 si conclusero gli apparati marmorei, per tutto il 1700 continuò la ristrutturazione di volte e cappelle.
Charles Dickens
Charles Dickens, in Immagini d’Italia, descrive il suo soggiorno a Genova sottolineando lo splendore e la varietà che caratterizza tutte le chiese cittadine. Colpisce un suo paragone: «…la Chiesa dell’Annunziata, costruita, come molte altre, a spese di una famiglia nobile, e che adesso viene lentamente restaurata, la quale, dalla porta esterna fino alla sommità della cupola , è così finemente dipinta e dorata da sembrare […] come una grande tabacchiera smaltata…».
Gustave Flaubert
Gustave Flaubert, nelle Lettere del 1845, descrive gli avvenimenti e le sensazioni provati durante il suo soggiorno genovese. In particolare, narra come sia stato attratto dal passaggio di due funerali: uno celebrato nella cattedrale di San Lorenzo e l’altro all’Annunziata. In occasione di quest’ultimo vede la chiesa ed afferma: «… tutte le voci risuonavano sotto la volta dorata dell’Annunziata…».
Alphonse Karr
Alphonse Karr, durante il suo viaggio a Genova, visita la Chiesa dell'Annunziata. Egli afferma: «...l' Annunziata ha l'interno tutto dorato, tutto letteralmente, e i giorni di festa le colonne di marmo sono rivestite di damasco o velluto crimisi a frangie d'oro». Lo scrittore osserva la sostanziale differenza che contraddistingue le chiese genovesi da quelle francesi. In Francia la luce penetra misteriosamente e crea una «...dolce musica di colori che si armonizza con la musica dell'organo...», grazie alla forma ogivale delle finestre ed alla presenza di grandi vetrate. In Italia, invece, le volte basse e quadrate e la presenza di grandi finestre permettono al sole di entrare bruscamente, senza creare quella dolce armonia tanto cara al Karr. Questi sottolinea inoltre come i paramenti di damasco, che abbelliscono la chiesa nelle festività, non abbiamo nulla di religioso. Paragona l'uso di tali decori all'atteggiamento di devoti che, sempre abituati al bel tempo e alle rose, non debbano chiedere nulla a Dio. Sottolinea, infine, come quasi tutte le chiese siano opera di una sola famiglia o addirritura di una sola persona. Ma, a tale costume, riesce a dare una semplice spiegazione: molti sono i ricchi a Genova e qui «...non si mangia e non si dà da mangiare, non ci si veste e si va a piedi.Ci sono solo tre strade dove possono passare le carrozze [...] Che cosa fanno allora i genovesi con il loro denaro? si fanno costruire una chiesa o un palazzo. La chiesa d'oro e il palazzo di marmo».
Paul de Musset
Paul de Musset, in Voyage pittoresque en Italie, menziona la Chiesa dell'Annunziata. L'autore vuole mettere in luce l'operato dei Lomellini, i quali si adoperarono per arricchire e decorare questa loro chiesa gentilizia in modo da annoverarla tra le più belle di Genova. L'unico rimprovero, rivolto loro dal de Musset, è l'aver ecceduto nelle dorature.
Mark Twain
Mark Twain, in Innocenti all’estero, rimane colpito dalla miriade di chiese che caratterizzano la città di Genova. Lo scrittore afferma: «…potrei dire che la chiesa dell’ Annunziata è una foresta di bellissime colonne, di statue, di dorature, di dipinti quasi senza numero, ma non darei un’idea esatta della cosa, e a che servirebbe? Fu costruita interamente da un’antica famiglia, che vi esaurì il suo denaro. Ecco dov’è il mistero. Avevamo idea che solo una zecca sarebbe sopravvissuta alla spesa…».
Camille Lemonnier
Lemonnier, nel libro Souvenirs d’Italiè, l'Annunziata tra le più belle Chiese di Genova, definendola «la parrocchia del re».
Bibliografia
Alizeri F., Guida illustrativa del cittadino e del Forestiero per la città di Genova e sue adiacenze, Genova, Dambolino, 1875, rist. anastatica Forni, pp.372-376.
Brosses de C., Viaggio in Italia, Roma-Bari, Editori La Terza, 1973, pp.24-46.
Musset de P., Voyage pittoresque en Italie, partie septentrionale, Parigi, 1855, pp.135-136.