Basilica Santa Maria Immacolata

Altare maggiore dell'Immacolata

Altare maggiore dell'Immacolata

Codice civico

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Categoria:

Chiesa

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Denominazione:

Chiesa di Santa Maria Immacolata

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Ubicazione

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Circoscrizione:

Municipio Centro-Est

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Indirizzo:

Via Assarotti, 24 - 16122 Genova (GE)

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Telefono:

010/ 8391812

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Indirizzo web:

www.basilicasantamariaimmacolata.it

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Notizie storiche

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Secolo:

XIX

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Frazione di secolo:

seconda metà

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Data:

1873 (apertura al culto)

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Utilizzazioni:

chiesa

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Attività:

chiesa

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Annotazioni/Descrizione

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Storia

La fondazione della chiesa dell’Immacolata se da un lato conferma il radicato culto mariano presente in Genova (dove già nel 1637 la Vergine era stata proclamata “regina della città”), dall’altro risulta strettamente collegata alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria da parte del pontefice Pio IX, avvenuta nel 1864: nello stesso anno, infatti, il nobile genovese Pietro Gambaro si fece promotore della costruzione di una nuova chiesa da erigersi nella via Assarotti (anch’essa allora in fase di apertura), mettendo a disposizione alcuni terreni di sua proprietà. Nel 1855 Gambaro si rivolse all’architetto Domenico Cervetto, che elaborò un progetto (a pianta a croce latina contratta, ispirata al modello della chiesa del Gesù), che, pur avendo destato non poche opposizioni e critiche nell’ambito della giunta comunale, fu approvato il 16 settembre 1856. Presero dunque avvio i lavori per la costruzione della chiesa, fortemente voluta da Gambaro (“Son presso a quarant’anni che io lavoro per me: ora voglio far qualcosa per la Gloria di Dio e della Madonna”) e che avrebbe dovuto essere affidata ai Padri Gesuiti cacciati dalla loro chiesa. La fabbrica tuttavia fu interrotta nel 1858 per la morte del committente, alla quale fece, poco dopo, seguito quella dell’architetto Cervetto. L’impresa fu rilanciata nel 1863 come immediata, polemica risposta - in difesa della figura dell’Immacolata- alla pubblicazione (avvenuta in quell’anno) della Vie de Jésus di Joseph-Ernst Rénan, che negava la divinità di Cristo e, conseguentemente, l’immacolata concezione della Vergine. L’arcivescovo di Genova, Andrea Charvaz, aprì una pubblica sottoscrizione per la prosecuzione della fabbrica della chiesa, affiancato da un gruppo di esponenti della nobiltà e dell’alta borghesia cittadina. Venne infatti istituita una commissione, della quale fecero parte G. Durazzo, G. Migone, Rodolfo Pallavicino e Lorenzo Enrico Peirano (questi ultimi acquistarono il terreno, destinato all’edificazione della chiesa, con atto privato “ad uso cattolico”), nonché Maurizio Dufour (Torino, 1826 – Genova, 1897), architetto e intellettuale, impegnato sul versante del cattolicesimo militante, al quale nel 1864 venne conferito l’incarico di Deputato per la costruzione della chiesa. Nel 1867 fu benedetta la prima pietra, con cerimonia presieduta dall’arcivescovo Charvaz; nel 1871 i lavori subirono una accelerazione, grazie all’incremento dei fondi disponibili e nel 1873 l’edificio, sebbene ancora privo di decorazioni, fu aperto al culto. Nel 1879 la chiesa fu eretta in parrocchia e presero avvio le opere decorative; nel 1880 divenne abbazia, mentre nei successivi anni fu insignita dei titoli di collegiata ad instar (1894) e di basilica minore (1905). Il cantiere dell’Immacolata fu, dunque, per Maurizio Dufour un impegno di rilievo, che dal 1864 lo occupò fino alla morte. Appartenente ad una famiglia che era esponente di punta dell’ambiente imprenditoriale genovese (il padre, Lorenzo, si era trasferito nel 1828 da Torino a Genova, dove aveva impiantato una fortunata attività di raffinazione degli zuccheri), Maurizio Dufour aveva compiuto nel capoluogo ligure la sua articolata formazione, comprendente gli studi universitari (dopo un primo approccio alla Facoltà di Filosofia, era passato a quella di Giurisprudenza), ma anche un’educazione propriamente artistica, avviatasi alla scuola del pittore Giuseppe Ferrari (1840 ca.) e formalizzata nel 1846 con l’iscrizione ai corsi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. Nel 1848 aveva compiuto il classico “viaggio di istruzione” in Toscana e a Roma, mentre l’anno successivo, dopo il conseguimento della laurea in Giurisprudenza presso l’Ateneo genovese, era ripartito alla volta del capoluogo toscano, dove rimase fino al 1852, frequentando l’Accademia ma anche l’ambiente del “Caffè Michelangelo". Dopo un soggiorno di alcuni mesi a Venezia, era infine rientrato a Genova, dove nel 1853 esordiva come architetto con il progetto per la tomba del padre nel cimitero di Staglieno. Dieci anni più tardi, quando gli venne affidata la regia del cantiere dell’Immacolata, egli era ormai figura ben nota nell’ambiente cittadino, già distintosi anche per i suoi interventi di “restauro” di importanti edifici ecclesiastici, come significativamente sottolinea nel 1866 Federico Alizeri: “La patria in comune gli dee poscia gratitudine molta per la pietà liberale de’ suoi restauri: ad esempio de’quali gli faran sempre testimonio di rara intelligenza le chiese di S.M. di Castello in Genova e della Certosa in Polcevera. Taccio i benefizj che a gran mercè di fatiche procaccia alle nostre arti, o salvandone il patrimonio ne’ monumenti, o promuovendole ne’ giovani, o vigilandole nell’Accademia” (F. Alizeri, Notizie dei Professori del Disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, III, Genova 1866, p.490). Nella chiesa dell’Immacolata Dufour, pur mantenendo la pianta già impostata da Cervetto, aggiunse, di sua invenzione, il coro e conferì all’edificio un aspetto elegante e imponente, riservando attenta cura a ogni singolo spazio e all’armonia dell’insieme. “Una chiesa per l’Immacolata non deve essere la cosa più ricca e più bella? Vorreste mica costruirle un tugurio? “: così rispondeva l’architetto (come tramanda il biografo Traverso) a chi la chiedeva più economica. Dufour tanto amava il suo progetto, che scelse di trasferirsi nel cantiere, dove allestì un piccolo studio per poter seguire più attentamente il lavoro degli operai e prevenire ogni tipo di errore. La sua ricca cultura, la sua approfondita conoscenza della tradizione artistica italiana, si riflette nel sontuoso edificio, che, una volta compiuto, si presentò “come una sorta di manifesto dell’eclettismo neorinascimentale genovese, non solo in campo architettonico, ma anche in quelli della scultura, della pittura e del mosaico, dell’ebanisteria” (Di Fabio 1990).

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Descrizione esterni

Scopriamo dunque le bellezze della chiesa tanto amata dall’architetto e che possiamo ancora oggi ammirare. Da piazza Corvetto percorriamo in salita la via Assarotti: a metà circa di questa spicca, per mole e minuziosa lavorazione plastica della facciata, la chiesa di Santa Maria Immacolata. Il primo registro della facciata è scandito da lesene lavorate come fossero merletti, che includono figure di putti e motivi fitomorfi, e definiscono la tripartizione della fronte comprendente: sulla sinistra l’edicola con l’Annunciazione, al centro il maestoso portale, sulla destra l’edicola con la Visitazione, che, come il citato gruppo posto nell’ edicola simmetrica di sinistra, è opera di Antonio Burlando su modello di Antonio Canepa. Sono inoltre visibili sopra le rappresentazioni dell’Annunciazione e della Visitazione quattro stemmi: quelli dei pontefici Pio IX e Pio X, quello di Pietro Gambaro e quello di Monsignor Lanata. Ai lati del portale due nicchie simmetriche includono le statue rispettivamente di San Giovanni Battista ( realizzata dallo scultore Giovanni Battista Villa) e di San Giorgio (opera di Giovanni Scanzi); il portale è dotato di un protiro a quattro colonne poco pronunciato, che sorregge una graziosa lunetta con all’interno una scultura della Madonna Immacolata. Una frase viene riportata sulla porta: HAEC EST DOMVS DEI ET PORTA COELI. Un pronunciato zoccolo divide il primo dal secondo registro; inoltre sono visibili due logge laterali e una fascia centrale con sette nicchie contenenti altrettante statue d’ angeli. Su questa fascia imposta il frontone curvilineo, con rosone e cornice interna arricchita da tondi con figure: al centro il Redentore (opera di Antonio Canepa), quindi i santi Pietro (scultore Carli), Matteo (scultore Orengo), Giovanni ( scultore Fabiani), Marco (scultore Costa), Luca ( scultore Giacobbe ) e Paolo ( scultore Scanzi). La facciata è stata realizzata con marmi diversi: il marmo bianco di Carrara, ma anche marmi colorati, quali il rosso di Francia, il giallo di Verona, il violaceo di Serravezza.

Immagine:Facciata_Santa_Maria_Immacolata.jpg Immagine:Facciata_2.jpg

Immagine:Annunciazione.jpg Immagine:Visitazione.jpg

Facciata_3.jpg

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Descrizione interni

Entriamo all’interno dove i colori dell’oro, delle decorazioni e dei marmi rapiscono gli sguardi. La pavimentazione in marmi policromi sembra un mosaico: è stata realizzata su disegno di Giuseppe Agrone e sotto la direzione di Monsignor Lanata, con l’impiego di marmo carrarese, verde antico, broccatello di Spagna, alabastro d’Egitto e giallo di Siena

Immagine:Interni_4.jpg

Dieci sono gli altari laterali; muovendo dall’ingresso della chiesa sulla sinistra troviamo: il fonte battesimale (fig.1), l’altare di San Giuseppe Calasanzio, l’altare di San Pietro, l’altare del Sacro Cuore, l’altare della Madonna del Rosario. Sulla destra, sempre partendo dall’ingresso dell’edificio per finire all’altare maggiore, incontriamo: la Grotta della Madonna di Lourdes, l’altare di San Giuseppe, l’altare del Crocifisso e l’altare della Madonna del Carmine.

Immagine:Navata sinistra_5.jpg Immagine:Battistero_6.jpg


L’altare di San Giuseppe Calasanzio fu commissionato da Giacomo Montano, progettato da Maurizio Dufour e, infine, decorato dallo scultore Giovanni Battista Villa.

Immagine:San_Giuseppe.jpg


L’altare di San Pietro, ora in restauro, fu finanziato da uno dei figli di Pietro Gambaro. Altare e statue sono stati realizzati dallo scultore Agostino Allegro. Nell’edicola centrale, in marmo rosso, è collocata la figura di San Pietro sul trono papale; ai suoi lati sono rappresentati San Giovanni Evangelista e San Paolo


L’altare del Sacro Cuore fu donato dai fratelli G.B. ed A. Ghigliotti: la tela centrale, raffigurante Gesù tra schiere di angeli oranti, si deve al pittore torinese Enrico Reffo, mentre le due tele laterali con figure di Sante (la Beata Margherita Alacoque e Santa Teresa) sono opera di Alfredo Luxoro.

Immagine:Sacro_Cuore.jpg


L’altare della Madonna del Rosario fu donato da Maria Brignole Sale, duchessa di Galliera, in ossequio alle disposizioni testamentarie della zia, la marchesa Luisa Negrone Durazzo, che fin dal 1866 aveva espresso la volontà di acquisire il patronato di una delle cappelle della nuova chiesa. La stessa marchesa aveva commissionato a Nicolò Barabino l’ancona con la Madonna del Rosario e i Santi Domenico e Caterina da Siena (1874-1875) destinata all’altare della cappella, dove appunto fu fatta trasferire dalla nipote.

Immagine:Madonna_del_Rosario_8.jpg


La grotta della Madonna di Lourdes è stata realizzata come fedele riproduzione della grotta di Gave da Antonio Brilla; sono invece opera di Antonio Quinzio le statue di Ester e di Giuditta. All’interno troviamo numerosi ex voto in argento donati dai fedeli. Questa cappella è stata donata dalle sorelle Piccardo.

Immagine:Madonna_di_Lourdes_9.jpg


L’altare della Sacra Famiglia è giuspatronato dei Musso Piantelli: i bassorilievi sono stati eseguiti da Canepa, il dipinto è opera di Cesare Mariani.

Immagine:Sacra_Famiglia_10.jpg

 

Il “cappellone” sacro a San Giuseppe, progettato in stile neorinascimentale da Maurizio Dufour, è ornato da statue di Giovanni Scanzi, mentre le balaustre sono state realizzate dallo stabilimento Fabbri. Il Marchese G. Cattaneo della Volta commissionò l’altare e la statua di San Giuseppe nella nicchia centrale, mentre Luisa Picasso ved. Ratto provvide alle statue laterali e agli ornamenti dell’altare.

Immagine:San_Giuseppe_11.jpg

L’altare del Crocifisso ha una storia particolare: accoglie, infatti, un Crocifisso ligneo di Giovanni Battista Gaggini ( XVII secolo), proveniente dalla cappella Spinola nella chiesa di Santo Spirito: a causa della chiusura di quest’ultima, l’opera fu trasferita in municipio e quindi nella chiesa dell’Immacolata. Monsignor G. B.Lanata, primo prevosto della chiesa, pagò tutte le spese per la costruzione della cappella.

Immagine:Crocefisso_12.jpg


L’altare di Nostra Signora del Carmine presenta una statua lignea della Vergine che è opera di fra Carlo Antonio da Santa Maria (agostiniano del convento genovese della Madonnetta), mentre spettano ad Antonio Canepa i due bassorilievi laterali con Sant’Elia e San Simone Stock. Inoltre, in un piccolo sacello, possiamo vedere il busto dell’architetto Dufour, accompagnato dall’iscrizione: MAURITIUS DUFOUR HUIUS S. AEDIS ARCHITECTUS MANIFICUS OPERE FERE ABSOLUTO OB. A. MDCCCLXXXXVII DESIDERATISS.

Immagine:Madonna_del_Carmine_13.jpg


Possiamo ora all’altare maggiore in marmo bianco sul quale risaltano le tre figure in bronzo dorato del paliotto: Sant’Alfonso de’ Liguori, San Bonaventura e il Venerabile Scoto, realizzate da Carlo Filippo Chiaffarino, come pure le due statuette di profeti (Daniele e Ezechiele) ai lati dell’altare. A fianco troviamo due lapidi in bronzo che ricapitolano (in latino) la storia della chiesa in latino, evidenziando i nomi di Maurizio Dufour, di Monsignor Lanata e di Monsignor Magnasco. Sotto il cornicione leggiamo TOTA PULCHRA ES MARIA. Il tabernacolo in oro cesellato è stato realizzato da Collareta. La statua dell’Immacolata , scolpita da Santo Varni su commissione del Principe Oddone di Savoia, corona il tutto. Il coro si rivela singolare esempio di grande perizia tecnica, con i suoi stalli lignei finemente decorati di intarsi metallici e in avorio, eseguiti, nel corso di quindici anni di lavoro, da Giambattista Gaolio su disegno di Marco Aurelio Crotta. Questa zona viene divisa da un piccolo deambulatorio colonnato sul quale poggiano due organi gemelli, figli del principale situato sopra il portale maggiore. Quest’ultimo è dotato di un sistema elettrico che permette di suonarlo dal coro: costruito nel 1890 dalla ditta inglese G.W. Trice, fu acquistato al prezzo di duecentocinquantamila lire donate da Benedetto Chiappe.

 


Immagine:Maggiore_14.jpg Immagine:Immacolata.jpg

 

 


Dobbiamo ancora ricordare il pulpito situato sul pilastro sinistro ( volgendo le spalle all’ingresso), sempre progettato da Dufour, e i quattordici caratteristici confessionali cupolati, nei quali si riprendono i motivi ornamentali a tarsia egli stalli del coro.


Immagine:Pulpito_15.jpg

 

 

Destano ammirazione anche i soffitti di questa splendida struttura, realizzati con un blu paragonabile a quello della famosissima cappella degli Scrovegni. Esso svanisce in presenza dei pennacchi che presentano figure angeliche dipinte su fondo oro e dei peducci della cupola con gli Evangelisti affrescati da Tullio Quinzio. Le vetrate del coro (con figure di Sante Vergini) come i finestroni delle navate (raffiguranti i Misteri del Cristianesimo) sono opera di G. Albertolla: hanno sostituito quelle originarie danneggiate durante il secondo conflitto mondiale.

 

Immagine:Soffitti_16.jpg Immagine:Organo_17.jpg

Immagine:Tarsie_coro.jpg Immagine:Tarsie_Confessionali.jpg

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Bibliografia

I quattordici confessionali dell’Immacolata, in “La Settimana Religiosa”, 1911, p.598;

L. A. Cervetto, Genova e l’Immacolata, Genova 1922;

L. Traverso, Maurizio Dufour, Genova 1922, pp. 13, 25, 46,165;

P. Costa Calcagno, Ottocento a Genova: contributi per la storia urbanistica della città, “Bollettino Ligustico”, XXVIII, 1-4, 1976, pp. 48-54;

F. Boggero, Chiesa di Santa Maria Immacolata,in Guide di Genova, n.81, Genova 1979 (il testo è stato ripubblicato nel volumetto Chiese di Genova, a cura di P. Motta, Guide di Genova, nuova serie, n. 114, Genova 1993, pp.59-66);

D. Roscelli, Nicolò Barabino, Genova 1982, pp. 125,137;

M. Giordano, Maurizio Dufour architetto e uomo, “La Casana”, a. XXVII, n. 1, gennaio- marzo 1985, pp. 12 - 17;

C. Di Fabio, Maurizio Dufour, in: C. Dufour Bozzo, M. Marcenaro (a cura di), Medioevo demolito. Genova 1860 -1940, Genova1990, pp. 317 -324.

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022