Palazzo Andrea Podestà

Storia

Il palazzo venne edificato per volontà di Nicolosio Lomellino tra il 1563 e il 1569 circa, su progetto dell’architetto e pittore lombardo Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco con la collaborazione di Bernardino Cantone. Il lotto su cui sorge l'edificio, era stato in un primo tempo acquistato dalla famiglia Gentile, nel 1559, in occasione della prima asta pubblica dei terreni; passò quindi nel 1563 ai Lomellino, che iniziarono subito la campagna dei lavori. Il committente Nicolosio Lomellino, genero del ricco Adamo Centurione e parente di Andrea Doria, aveva accumulato un’ingente fortuna investendo nella redditizia pesca del corallo nell’isola tunisina di Tabarca. Il palazzo venne acquistato da Luigi Centurione nel 1609 (ed è con questo nome che è citato dal Rubens) e passò poi ai Pallavicini nel 1711. Dopo una breve parentesi di proprietà Raggi, il barone Andrea Podestà, figura di spicco della Genova del tempo e per ben tre volte sindaco della città, acquisì nel 1865 l’immobile, che per discendenza diretta è pervenuto agli attuali proprietari.

Struttura architettonica

La struttura architettonica e la semplice distribuzione degli spazi interni sono caratteristiche emblematiche dello stile progettuale del Bergamasco, al quale gli studi di Poleggi hanno affiancato l’architetto camerale Bernardino Cantone. La struttura del palazzo presenta, al di sopra del piano terreno con l’atrio ovale, l’androne e il cortile, due piani nobili, di cui il secondo più sviluppato in altezza, e un ultimo piano attico nel sottotetto. Ogni passaggio di proprietà determinò cambiamenti nella decorazione interna e nella struttura dell’edificio, con adeguamenti funzionali che, se non stravolsero l’originaria planimetria cinquecentesca, come per altre dimore in Strada Nuova, tuttavia ne modificarono l’assetto. Per la ricostruzione delle vicende architettoniche dell’edificio sono preziosi i disegni del Rubens, e i rilievi del Gauthier editi nel 1818. Dal confronto fra queste due fonti si evidenziano alcuni cambiamenti, databili al primo quarto del Settecento: il cortile venne ampliato, arretrando un originario ninfeo poi sostituito dalla odierna scenografica fonte. Alla fine degli anni ’60 del XX secolo, infine, l’architetto razionalista Franco Albini mise mano ad una parziale revisione del secondo piano nobile e dell’appartamento sovrastante, intervenendo sui danni bellici con l’inserimento di originali strutture funzionali alla moderna vita del palazzo.

Esterni

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La facciata del palazzo si offre come quinta scenica che introduce e accompagna il visitatore. E’ stata ipotizzata una completa identità di ideazione tra interni ed esterni nonché il progetto della facciata, animata da stucchi e rilievi, al genio del Bergamasco: festoni, ghirlande di frutti, mascheroni, erme e trionfi rivestono il prospetto che si affaccia su Strada Nuova, movimentandolo con ornati di straordinaria inventiva.

Questa facciata, è davvero un’eccezione se confrontata con le fronti degli altri palazzi della via: i rilievi alleggeriscono visivamente il prospetto, che viene percepito da chi lo osserva come un vero e proprio "effimero vestito a festa". All’altezza del pianterreno, tra le finestre, vi sono erme dai volti androgini e zampe unghiate da arpie, mentre in corrispondenza del primo piano eleganti drappeggi, che figono stoffe, sostengono trofei d’armi con pugnali, daghe e pettorali, emblemi di forza e potere. Le finestre sono incorniciate da delicate volute impreziosite da figure di erme-sirene mentre al secondo piano nobile il decoro è costituito dall’alternanza di ghirlande di frutta, simbolo di abbondanza, mascheroni e figure all’antica. La realizzazione di questo ricchissimo insieme di stucchi, su disegno con buona probabilità del Bergamasco, viene tradizionalmente attribuita all’artista urbinate Marcello Sparzo, molto attivo a Genova alla fine del Cinquecento. Confrontando il prospetto attuale con il disegno pubblicato da Pietro Paolo Rubens (1622), si notano alcuni cambiamenti: le aperture delle finestre appaiono più ampie, forse per l’inserimento dei balconi a inizio Seicento; al secondo piano nobile non compaiono più i mezzanini e al primo piano mancano i busti ospitati entro cornici ovali sopra le finestre.

Grazie agli ultimi restauri (2000-2004), la facciata è stata ripulita da uno spesso strato di grigie incrostazioni ed è tornata allo splendore originario. L’ampio portale da cui oggi si accede al palazzo è frutto della risistemazione settecentesca: l’originario ingresso, più semplice, era infatti di dimensioni inferiori e decorato da una maschera ghignante, come si vede nel disegno del Rubens. Due lisce colonne sostengono oggi un timpano spezzato, con al centro un cartiglio recante nello stemma le iniziali ‘A.P.’ del proprietario ottocentesco Andrea Podestà. Sicuramente il cambiamento ascrivibile al XVIII secolo è da imputare alla volontà di enfatizzare maggiormente la sontuosità e la grandiosità dell’ingresso al palazzo.

Giardino Inferiore

L’aspetto che ha oggi il giardino di Palazzo Lomellino, si deve alla fase settecentesca di trasformazione della dimora, ed agli allora proprietari, i Pallavicino. Magnani riconduce alla regia di Domenico Parodi, che già disegnò il ninfeo, l’intera animazione plastica di quest’area verde: suoi sarebbero i satiri sulla balaustra che affaccia sul cortile, e sue le cinque statue che dominano il giardino dall’alto del muraglione di contenimento del terrazzamento superiore. Lo stesso muraglione tra giardino inferiore e giardino superiore, è occupato al centro da un ninfeo di soggetto dionisiaco: un enorme Sileno impegnato a versare da un'anfora il vino nella bocca di Bacco. Sul fianco a ponente, invece, si apre una grotta con stalattiti e conchiglie nel cui antro tenta di rifugiarsi un cinghiale cacciato da Adone. Si accede a questo luogo di natura e artificio camminando sotto un pergolato in ferro, il cui percorso è scandito da busti marmorei dei dodici Cesari. Al centro del parterre si trova infine una vasca circolare in marmo bianco con nel mezzo un piccolo Ercole in lotta con un serpente.

Giardino Superiore

All’altezza del secondo piano nobile, è possibile scoprire un secondo terrazzamento. Questo spazio, quasi nascosto alla vista, fin dai tempi antichi doveva essere utilizzato come orto. Al centro del muraglione di contenimento si apre un piccolo ninfeo costruito perfettamente in asse con le due scenografiche fonti dei due livelli sottostanti, a ulteriore conferma di come la progettazione degli spazi, in ogni epoca, sia sempre stata accuratamente e armoniosamente posta in opera.

Minareto

Quest’alta torre bianca, posizionata tra giardino inferiore e giardino superiore, è addossata al muro di contenimento tra i due terrazzamenti proprio per consentire il passaggio da un livello all’altro. Di probabile fondazione cinquecentesca la torre, con la sua scala a chiocciola, è certamente funzionale alla fruizione dei diversi livello del giardino, ma venne probabilmente sopraelevata nel XVII secolo per divenire un “mirador” da cui godere di un panorama d’eccezione e quindi utile per controllare gli eventuali sbarchi nel porto. Il carattere ‘arabeggiante’ di questa costruzione è stato messo utilmente in relazione con l’apertura al Mediterraneo della città di Genova, oltre che con gli stessi interessi commerciali della famiglia Lomellini.

Interni


L'atrio

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Varcato l’ampio portone, un raffinato atrio di forma ovale è ugualmente rivestito di rilievi in stucco: sulle pareti sono ricavate quattro piccole esedre decorate a cassettoni, mentre tra un’esedra e l’altra coppie di erme con capitello ionico si alternano a specchiature dal ricco e minuzioso ornato, sormontate da piccoli obelischi. Di grandissimo pregio il soffitto: nel medaglione centrale è rappresentata la scena di trionfo di un guerriero secondo i più antichi e consolidati modelli iconografici, mentre intorno figurano altri quattro tondi. Su di un finto tessuto appeso a ganci attorno all’ovale centrale eleganti volute, festoni vegetali, trofei di armi e piccoli putti sono gli elementi di raccordo tra i diversi medaglioni. Gli stucchi sono ancora opera dello Sparzo, ma il disegno di questo ambiente e della sua decorazione è probabilmente riconducibile all’ideazione del Bergamasco. Fino agli ultimi restauri l’atrio era mortificato da una tinteggiatura color ocra-verdastro che non facilitava una corretta lettura dei diversi elementi; oggi la pulitura delle superfici e i diversi interventi di ripristino hanno restituito agli stucchi le loro originali cromie, giocate su toni bianchi e azzurri. Superato l’atrio, si percorre un androne arrivando all’ampio e scenografico cortile, concluso da un imponente ninfeo settecentesco.

Il Ninfeo

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Questa tipologia di "fonte" testimonia l'evoluzione del gusto che nel corso del XVII trasforma la tradizionali grotte artificiali cinquecentesche in aperti ninfei. Il ninfeo venne probabilmente realizzato dai Pallavicini (1711). L'aspetto monumentale della fonte si deve ad un progetto di Domenico Parodi. Lo sviluppo in altezza di questo ninfeo risolve felicemente la continuità fra il palazzo e la collina retrostante, offrendo quasi due ninfei sovrapposti. La volta del grande ninfeo è retta da due giganteschi tritoni, che incorniciavano una perduta scena ispirata al mito di Fetonte.


Primo piano nobile

Luigi Centurione (1597-1659) nel 1623 incaricò lo Strozzi di decorare lo scalone, la loggia e, al primo piano nobile, le volte di tre sale e due recamerini nel palazzo di recente acquisito dai Lomellino sulla elegante via cinquecentesca. Sui tempi di lavorazione ed i pagamenti non avvenuti fra lo Strozzi ed il Centurione ci furono incomprensioni e dispute. Ne nacque una vertenza legale, che comportò la brusca interruzione della decorazione a fresco, limitata dunque alle sole prime tre sale previste: di queste, nelle due laterali le decorazioni del soffitto furono picchettate e scialbate, probabilmente già per diretta volontà del Centurione, mentre gli affreschi della sala centrale piacquero al committente che li volle mantenere. A inizio Settecento, per dare maggior lustro al secondo piano nobile, i Pallavicini fecero ampliare lo scalone che lo collegava al primo piano e questa operazione implicò l’innalzamento di un nuovo muro portante che di fatto diminuì lo spazio della sala centrale, di conseguenza controsoffittata. La straordinaria scoperta nel 2004 dell’affresco dello Strozzi ancora integro si deve a un’intuizione di Mary Newcome e di Beppe Merlano: praticando un foro di indagine sulla volta è stato possibile riconoscere e quindi recuperare quanto l’artista dipinse, straordinariamente conservato grazie alla volta in canniccio di controsoffittatura.

"LA FEDE CHE SBARCA NEL NUOVO MONDO"

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E' emozionante la vista di queste vivaci e piacevolissime creazioni dello Strozzi, affreschi per lungo tempo occultati e ritenuti ormai perduti. Anche la particolare scelta iconografica è sicuramente di grande fascino: nella scena centrale della volta è rappresentata una figura maschile che aiuta una giovane donna, allegoria della Fede cristiana, a scendere da una imbarcazione sulla terraferma. Il gentiluomo, in piedi e ormai sbarcato, tiene in mano un astrolabio che lo identifica come navigatore, mentre la Fede, accompagnata da due angeli, si impone come fulcro visivo e simbolico, tenendo sollevato verso l’alto un calice dorato sormontato da una croce. Secondo l’interpretazione della Newcome i quattro anziani raffigurati accanto alla Fede, che tengono tra le mani pregiati testi rilegati, rappresenterebbero i quattro Evangelisti, e la scena si dovrebbe leggere quale allusione alla scoperta delle Americhe del 1492.

Questo tema, di sicuro concordato con lo stesso Luigi Centurione, permise al pittore di sbizzarrirsi in soggetti curiosi e fantasiosi. Nei pennacchi trovano posto episodi di caccia e di lavoro degli indios, scene di cruento cannibalismo accanto a dolci immagini di amore materno, tutte legate al mondo indigeno.

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La camera dell'Astrologia

La sala è l’unica delle tre che affacciano su Strada Nuova ad aver mantenuto inalterate le dimensioni originali. Al centro del soffitto affiora debolmente un’immagine femminile dalle ampie ali rosse, con ai piedi un’aquila: quest’affresco è tra quelli cancellati per volere di Luigi Centurione e occultato da molte mani di malta che ne hanno compromesso visibilmente la conservazione. La donna tiene in una mano una sfera celeste con al centro un’idra e nell’altra un compasso, emblemi che, sarebbero gli attributi dell’Astrologia; anche in questa sala continuano dunque i riferimenti alla navigazione e ai suoi strumenti. La figura è incorniciata da una grande ghirlanda a festone bianca su una base color giallo ocra: qui la realizzazione non venne ultimata, lasciando così l’eccezionale possibilità di intravederne tracce di quadrettatura e di gesso nero del disegno preliminare.

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Secondo piano nobile

Si può oggi indicare con certezza la data 1711 per l’ingresso della famiglia Pallavicini nella dimora, e quindi attribuire alla volontà dei nuovi proprietari il rinnovamento dell’apparato decorativo e iconografico. I temi sono legati al trionfo della sensualità e di una natura lussureggiante, benigna e rigogliosa, popolata da vivaci putti, grappoli d’uva e tralci, festoni di fiori e frutti.

Sala di Giove

Nel primo dei tre ambienti settecenteschi Giacomo Antonio Boni illustrò la storia di Giove e la capra Amaltea, rifacendosi al noto racconto mitologico secondo il quale Amaltea, dopo aver allattato il sovrano degli dei nell’isola di Creta, sarebbe stata per gratitudine glorificata da questi e posta tra le stelle. Nella scena centrale della volta, in alto, un putto regge la cornucopia dell’abbondanza mentre Amaltea è raffigurata mentre ninfe la adornano di fiori e altri putti siedono sugli elaborati sfondati architettonici reggendo ghirlande.

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Sala di Bacco

Nella sala centrale il genovese Domenico Parodi (1670-1742) affresca Bacco che regge la corona di Arianna: seduto su una nuvola, il dio del vino, accompagnato dalle pantere che secondo la mitologia avrebbero trainato il suo carro, tiene in mano un diadema d’oro, dono di nozze per la sua sposa, Arianna, figlia del re di Creta Minosse. Questo gioiello creato da Vulcano, dio del fuoco e della lavorazione dei metalli, una volta lanciato in cielo si sarebbe trasformato nella costellazione della Corona Boreale. Intorno al riquadro principale, aperto sul cielo azzurro, quadrature architettoniche ospitano putti ubriachi, addormentati e in festa, mentre coppie di figure a fingere il marmo, su eleganti volute, sorreggono vasi colmi di tralci d’uva. Il tema bacchico della volta è significativamente ripreso nei medaglioni in grisaille alle pareti: un trionfo dell’abbondanza e dell’illusione, tra affresco e stucco, che trasforma la sala quasi in un unico apparato teatrale dove l’architettura reale continua in quella dipinta, e questa si trasforma in finta scultura o in elementi naturali, ma trasfigurati in oro.

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GIARDINO INFERIORE

L’aspetto che ha oggi il giardino di Palazzo Lomellino, si deve alla fase settecentesca di trasformazione della dimora, ed agli allora proprietari, i Pallavicino. Magnani riconduce alla regia di Domenico Parodi, che già disegnò il ninfeo, l’intera animazione plastica di quest’area verde: suoi sarebbero i satiri sulla balaustra che affaccia sul cortile, e sue le cinque statue che dominano il giardino dall’alto del muraglione di contenimento del terrazzamento superiore. Lo stesso muraglione tra giardino inferiore e giardino superiore, è occupato al centro da un ninfeo di soggetto dionisiaco: un enorme Sileno impegnato a versare da un'anfora il vino nella bocca di Bacco. Sul fianco a ponente, invece, si apre una grotta con stalattiti e conchiglie nel cui antro tenta di rifugiarsi un cinghiale cacciato da Adone. Si accede a questo luogo di natura e artificio camminando sotto un pergolato in ferro, il cui percorso è scandito da busti marmorei dei dodici Cesari. Al centro del parterre si trova infine una vasca circolare in marmo bianco con nel mezzo un piccolo Ercole in lotta con un serpente.

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GIARDINO SUPERIORE

All’altezza del secondo piano nobile, è possibile scoprire un secondo terrazzamento. Questo spazio, quasi nascosto alla vista, fin dai tempi antichi doveva essere utilizzato come orto. Al centro del muraglione di contenimento si apre un piccolo ninfeo costruito perfettamente in asse con le due scenografiche fonti dei due livelli sottostanti, a ulteriore conferma di come la progettazione degli spazi, in ogni epoca, sia sempre stata accuratamente e armoniosamente posta in opera.

 

MINARETO

Quest’alta torre bianca, posizionata tra giardino inferiore e giardino superiore, è addossata al muro di contenimento tra i due terrazzamenti proprio per consentire il passaggio da un livello all’altro. Di probabile fondazione cinquecentesca la torre, con la sua scala a chiocciola, è certamente funzionale alla fruizione dei diversi livello del giardino, ma venne probabilmente sopraelevata nel XVII secolo per divenire un “mirador” da cui godere di un panorama d’eccezione e quindi utile per controllare gli eventuali sbarchi nel porto. Il carattere ‘arabeggiante’ di questa costruzione è stato messo utilmente in relazione con l’apertura al Mediterraneo della città di Genova, oltre che con gli stessi interessi commerciali della famiglia Lomellini.

 

Curiosità

Un sentito ringraziamento all'Associazione Palazzo Lomellino Onlus, nonchè alla gentile competenza della sig.ra Brunella Rulfo.


Le Guide

 

Carlo Giuseppe Ratti

Situato al civico numero 7 di Via Garibaldi, le informazioni fornite dal Ratti si aprono con la descrizione del ninfeo: «È vago il portico per una bella fonte, che li forma prospetto, ed esprime in istucco la caduta di Fetonte ideata dal Parodi, e condotta dal Biggi suo allievo. Più nobili però sono i Salotti, ed una galleria ornata pure di figure in istucco dallo stesso Biggi. Nella volta d’uno di essi ha pinto con ottimo gusto alcune Dee l’Abate Ferrari, e v’ha fatti gli ornamenti il Revello. In altro ha colorito ad olio sopra tele alcune storie del Testamento vecchio, il Boni; più però s’è segnalato in la volta d’un altro, ove ha espresso Giove, che fanciullo vien dato in custodia d’Amaltea, ma più altresì di lui s’è nell’altro allato a questo quasi direi immortalato Domenico Parodi nel Bacco che v’ha entro la volta dipinto, con putti, e sirene negli angoli a chiaroscuro, ed un finto rilievo con un putto sedente su d’un capro sovra la porta. Vi sono poi altra stanze ornate di buoni quadri» 

Anonimo, 1818

Anche l’Anonimo, come già il Ratti prima e l’Alizeri successivamente, descrive con toni entusiasti la fonte situata nel portico: «È vago il portico per una bella fonte che li forma prospetto ed isprime in istucco la Caduta di Fetonte con cariatidi, ideata da Domenico Parodi di Filippo e condotta dal Biggi suo allievo. Più nobili però sono i salotti ed una galleria ornata pur di figure in istucco dallo stesso Biggi. Nella volta d’una di esse ha pinto con ottimo gusto alcune Dee l’Abate Ferrari, e vi ha fatti gli ornamenti il Revello» 

Federico Alizeri, 1875

Situato in Via Garibaldi 7, fu costruito per volere di Nicolò Lomellino «A formarne i disegni ebbe […] G.B. Castello che usiam nominare pel Bergamasco, valente maestro delle tre arti, e in architettura devoto seguace dell’Alessio»
Da Nicolò Lomellino passò a Barnaba Centurione poi, ad inizio del 1700, ai Pallavicini poi alla famiglia Raggio ed infine ai Podestà che attuarono un importante ciclo di restauri riportando il palazzo al suo antico splendore.
All’inizio del XVIII secolo «fu chiesto il Parodi ad ornar la fonte che rende al cortile le acque dei sovrapposti giardini. Contento ai disegni, il Parodi lasciò al Biggi suo alunno la cura dell’eseguirli in istucco, e ne uscì un tal capriccio di due tritoni che reggono i massi d’una caverna, per entro la quale vedeasi Fetonte giù capovolto dal cielo e un genietto sull’alto a versar le acque da un’urna.» Fetonte andò distrutto in breve tempo a causa del continuo gocciolare della volta, purtroppo nessun restauro è stato in grado di salvarlo.
Nei salotti, il Revelli, il Boni Lorenzo de Ferrari e il Parodi, dipinsero scene e scherzi tratti dalla mitologia.

 

Bibliografia


P. Torriti, "Tesori di Strada Nuova, la via aurea dei genovesi", Genova, Cassa di risparmio di Genova e Imperia 1970.

E. Poleggi, "Strada Nuova una lottizzazione del Cinquecento a Genova", Genova, Sagep Editrice, 1972.

E. Poleggi (a cura di), "Una Reggia Repubblicana. Atlante dei Palazzi di Genova 1530-1664", Torino, Umberto Allemandi & C., 1998.

A. Manzitti, M. Priarone, "Guida breve al Palzzo Nicolosio Lomellino di Strada Nuova", Genova, Associazione Palazzo Nicolosio Lomellino di Strada Nuova.

 

Bibliografia Guide


Alizeri Federico, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Bologna, Forni Editore, 1972 pag. 189

Poleggi Ennio e Poleggi Fiorella (Presentazione, ricerca iconografica e note a cura di), Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818, Genova, Sagep, 1969 pag. 154

Ratti Carlo Giuseppe, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura scultura et architettura autore Carlo Giuseppe Ratti pittor genovese, Genova, Ivone Gravier, 1780, pag. 270-271

 

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022