Palazzo Carrega Cataldi

Categoria: Palazzo

Denominazione: Palazzo di Tobia Pallavicino

Denominazione originale: Palazzo di Tobia Pallavicino

Ubicazione

Circoscrizione: Centro

Indirizzo: Via Garibaldi 4

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Notizie storiche

Secolo: XVI

Attività (uso attuale): Sede della Camera di Commercio

Uso storico: Dimora storica, palazzo inserito nel sistema dei Rolli

Storia


Il Palazzo che Tobia Pallavicino costruì tra il 1558 ed il 1561, noto anche come Palazzo Carrega Cataldi, dal nome del secondo e terzo proprietario, ed oggi sede della Camera di Commercio, fu tra i più ammirati dai contemporanei per la sua modernità e ricchezza. E' il secondo edificio che, a partire da piazza Fontane Marose, si allinea sul lato sinistro dell'attuale via Garibaldi. Il 23 marzo 1558 Tobia Pallavicino acquistò per la somma di 14520 lire genovesi l'area sulla quale sarebbe sorto il Palazzo, il quale fu costruito fra il 1558 ed il 1561 da Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco, con la collaborazione di Bartolomeo Riccio, Domenico Solari ed Antonio Roderio. La costruzione cinquecentesca era strutturata in un blocco cubico di due piani (piano terreno e nobile), di cui ci da conferma il prospetto di Rubens. La struttura non subì modifiche fino all'inizio del '700, quando ci fu il passaggio di proprietà fra Ignazio Pallavicino e Giacomo Filippo Carrega il quale decise di sopraelevare di un piano l'edificio tra il 1710 ed il 1714, così come emerge dal prospetto della metà del XIX realizzato da Martin Pierre Gauthier. Tra il 1727 ed il 1746, per iniziativa del figlio di Giacomo Filippo, Giambattista Carrega venne realizzato un ampliamento della strutture originarie. All'interno della nuove strutture furono poi realizzate diverse sale tra cui la Galleria Dorata. Nel 1830 il Palazzo fu ceduto dai Carrega ai baroni Cataldi, nella seconda metà dell'Ottocento fu dato in locazione ad una ditta commerciale perdendo progressivamente il suo fasto originario. Nel 1922 il passaggio di proprietà dell'intero Palazzo andò alla Camera di Commercio che ne fece la propria sede ed impedì eventuali frazionamenti e manomissioni.

Struttura architettonica


Gli esterni

La facciata originale, che ci ha trasmesso Rubens, la possiamo immaginare eliminando idealmente l’ultimo piano voluto da Giacomo Filippo Carrega. Era articolata in due fasce orizzontali ad ordini sovrapposti di pari altezza ed a sette assi di finestre.

A pianterreno il paramento è caratterizzato da un bugnato di particolare concezione: metà continuo e metà trasformato in ordine vagamente dorico; al centro del prospetto si eleva il portale dorico sormontato da un timpano triangolare e definito da paraste scanalate che sostituiscono le tradizionali colonne. Al piano nobile si alternano finestre con timpani triangolari e curvilinei tra paraste scanalate con capitelli ionici, in pietra rosa di Finale. Il prospetto principale era coronato, fino al XVIII secolo, da un'alta fascia a mensole binate in corrispondenza degli ultimi mezzanini e da un tradizionale tetto a padiglione in abbaini di ardesia. La composizione della facciata, nello schema generale della partitura, ha evidenti ascendenze raffaellesche con un'interpretazione delle superfici nuova per Genova.

 

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Gli interni

Passando agli spazi interni, osserviamo come il Bergamasco, oltre alla costruzione, diresse anche la ricca decorazione a stucco ed affresco profusa negli ambienti originali cinquecenteschi a cominciare dal portico d'ingresso.

L'atrio

L'atrio dal quale si accede direttamente dall'ingresso su via Garibaldi, è costituito da un ampio vano rettangolare aperto con un arioso trionfo verso il salone e le scale. Tutto lo schema è teso a sostenere una grande decorazione narrativa, come scrive il Poleggi. Gli stucchi, infatti, riempiono ogni lunetta trascinandovi il disegno delle porte coi motivi prolungati a dividere le partiture geometriche del soffitto. Nei medaglioni ottagonali sono raffigurati "Giunone e Leda", mentre "Gli Dei dell'Olimpo" sono inseriti nelle cartelle rettangolari intorno allo spazio centrale della volta. Nell'atrio struttura architettonica, decorazioni ad affresco e decorazioni a stucco sono inscindibilmente legate tra di loro: il progetto e l'esecuzione sono attribuiti, come abbiamo già ricordato, al Bergamasco qui impegnato come pittore, scultore ed architetto. La stessa fresca fantasia torna nei salotti attigui dove troviamo rappresentati i miti di "Apollo in Parnaso" circondato dalle "Arti" ed "Apollo e Dafne".

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Il vestibolo

Presente al piano nobile, è definito da un'intensa policromia e da una ricchezza ornamentale estesa con uniformità su tutte le superfici dove risplendono gli stucchi e l'oro delle decorazioni in rilievo. La volta a botte è dominata dall'affresco di "Apollo citaredo con tre muse" al centro e medaglioni laterali che accolgono "Figure musicanti". I riquadri delle pareti corte sono decorati con "Storie di Apollo". Sul lato sinistro del vestibolo si apre un salotto con l'affresco di "Psiche che veglia Amore", sempre di Castello, incorniciato da stucchi settecenteschi. Dall'antisala si entra nel salone, (Sala della Meridiana), nel quale le decorazioni bianche a stucco convivono con le strutture murarie del XVI secolo: le nicchie sui lati corti del salone ospitano busti di imperatoti mentre nel pavimento è conservata una fascia di marmo bianco posta in diagonale, con l'incisione dei segni zodiacali e delle fasi delle stagioni.

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Cappella Carrega

Piccolo ambiente decorato e dipinto nella prima metà del Settecento da Lorenzo de Ferrari; dal salotto si accede alla cappella attraverso un arco a tutto sesto, chiuso da una porta in legno a due ante decorate con due medaglioni raffiguranti "L'Annunciazione" e la "Natività", sempre eseguite da de Ferrari. All'interno del piccolo ambiente decorazioni a stucco ed a finto stucco delle pareti e della volta imitano architetture: colonne corinzie creano uno straordinario effetto prospettico. La volta, decorata anch'essa in stucco dorato, è dominata da un affresco con "Volo di angeli". Sull'altare della cappella gentilizia fu collocato, probabilmente intorno alla metà del XVIII secolo, il gruppo marmoreo della "Madonna con il Bambino", la cosiddetta "Madonna Carrega", scolpita intorno al 1681 da Pierre Puget. La cappella sembra fatta apposta per ospitare l'opera, che fu acquistata dai Carrega. La Madonna venne poi allontanata da questa sede all'inizio del Novecento, quando i Cataldi, nuovi proprietari del Palazzo, la vollero nella Villa di Albaro. Nel 2004, anno di Genova capitale europea della Cultura, la Camera di Commercio ha deciso di ricollocare nella cappella una copia della celebre statua.

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Galleria Dorata

Insieme alla Cappella Carega, fu uno degli ambienti più importanti creati dagli ampliamenti settecenteschi volute da Giambattista Carrega. La Galleria Dorata rappresenta il più ricco e fastoso ambiente di tutta Strada Nuova, un capolavoro del Rococò europeo, come disse il Wittkower. Si tratta di un gioiello che con il suo sfrenato luccicare d'oro, dagli zoccoli al soffitto, lascia sbigottiti dopo il rigore geometrico delle nitide e biancheggianti decorazioni del Bergamasco. E' l'oro, che disteso in ogni angolo, rivestendo gli intagli delle porte, le cornici delle specchiere, le consolles, le appliques e quindi tutta la fantastica decorazione a stucco, in un crescendo di erme, festoni, putti, fregi ecc. giunge a contornare il grande affresco che apre il centro della volta sul cielo dell'Olimpo. L'intero ciclo decorativo, eseguito da Lorenzo de Ferrari, è composto oltre che dall'affresco dell"Olimpo" nel soffitto, dalle lunette con "Enea che sbarca nel Lazio", "Enea che raccoglie l'ulivo sacro" e dai tondi su tela con "Venere che consegna le armi a Enea", "Enea che fugge da Troia", "Enea e Didone" ed infine "Enea che uccide Turno". Gli stucchi della Galleria Dorata furono disegnati da Lorenzo de Ferrari, ma realizzati quasi certamente da un artista d'eccezione come Diego Andrea Carloni.

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Le Guide


Carlo Giuseppe Ratti, 1780

Attuale sede della Camera di Commercio, il palazzo si trova in Via Garibaldi al civico numero 4.
«Palazzo del Sig. Giacomo Filippo Carrega di soda ed elegante architettura ornato dal Castello Bergamasco, il quale con Deità, e bizzarrissime grottesche del gusto più elegante vi dipinse il portico, ed anche allo stesso modo ornò la sala del primo piano. Più magnifica però è l’antisala del piano superiore anch’essa fregiata di grotteschi, stucchi, e figure dello stesso celebre Autore, e in diversi riparti v’hanno le Muse, con Apollo, ed altre favolette, e paesi. È questa un’opera, che spira tutta la maestà del felicissimo secolo in cui fu lavorata, e al cui gusto bisogna ora far ritorno dopo un lungo variare d’abusi, che nel modo d’ornare s’erano barbaramente introdotti» .
Ratti descrive quindi i vari Salotti dando alcune informazioni sulla quadreria che conta opere del Procaccino, di Paolo Girolamo Piola, di Paolo Veronese, di Bernardo Strozzi e gli immancabili Rubens e Van Dyck. La descrizione continua con la Galleria: «Nobile e ricca[…] tutta messa a stucchi dorati, e dipinta dall’Abate Lorenzo de-Ferrari, che oltracciò dette tutti i disegni d’ogni ornamento, che ivi si vede tanto in legno, che in istucco. Gli argomenti di tali pitture sono cavati dall’Eneide, scorgesi nella volta Venere, che si presenta a Giove per salvare il figlio dalla persecuzion di Giunone, in due lunette v’ha in una il di lui sbarco in Italia, e nell’altra quando strappa dall’albero l’aurato ramoscello. In quattro tondi ad olio scorgersi lo stesso Eroe, che salva il padre dall’incendio, quando narra alla Reina Didone le disavventure della Patria; allorchè riceve da Vulcano le armi per armarsene contro i Laurenti; e come uccide Turno per averli trovato indosso il cinto dell’amico Pallante. Non dovrete or da ultimo trascurar la nobil Cappella che oltre i preziosi arredi di massiccio argento ha una statua in marmo della Vergine col Putto del Franzese scultore Pietro Puget» 

Anonimo, 1818

Fu edificato da Giovanni Battista Castello con la collaborazione di Antonio Roderio, per Tobia Pallavicino tra il 1558 e il 1561.
Nel 1710, Filippo Carrega, nuovo proprietario, lo fece sopraelevare di un piano; il figlio Giambattista aggiunse il corpo retrostante della galleria intorno alla metà del 1700.
Descritto dall’Anonimo come vasto e imponente, a suo avviso «dopo i due Tursi e Brignole merita per la di lui elevatezza, e bella disposizione il terzo luogo. Egli è con soda, ed elegante architettura da pilastri nella facciata ornato dal Castello Bergamasco, il quale con Deità, e bizzarrissime grottesche del gusto più elegante vi dipinse il portico, ed anche allo stesso modo ornò la sala del primo piano. Più magnifica però è l’antisala del piano superiore, anch’essa fregiata di grotteschi, stucchi e figure dello stesso celebre autore, e in diversi riparti v’hanno le Muse con Apollo ed altre favolette e paesi. E’ questa un’opera, che spicca tutta la maestà del felicissimo secolo in cui fu lavorata, e al cui gusto bisogna or far ritorno dopo un lungo variare d’abusi, che nel modo d’ornare s’erano barbaramente introdotti» .
Anche per questo palazzo l’Anonimo fornisce l’elenco dei quadri presenti nei diversi salotti che comprendono tele del Rubens, del Guercino, del Grechetto e molti altri nomi altisonanti; si sofferma in particolare sulla galleria, ultima opera del De Ferrari, morto nel 1744: «Tutta messa a stucchi dorati, e dipinta dall’Abbate Lorenzo De Ferrari, che oltre ciò dette tutti i disegni d’ogni ornamento, che ivi si vede tanto in legno che in istucco. Gli ornamenti di tali pitture son cavati dall’Eneide; scorgesi nella volta Venere che si presenta a Giove per salvate il figlio dalla persecuzion di Giunone; in due lunette v’ha in una il di lui sbarco in Italia, e nell’altra, quando strappa dall’albero l’aurato ramoscello. In quattro tondi ad olio scorgesi lo stesso Eroe, che salva il padre dall’incendio, quando narra alla Reina Didone le disavventure della patria, allorché riceve da Vulcano le armi per armarsene contro i Laurenti, e come uccide Turno per avergli trovato indosso il cinto dell’amico Pallante» .
Per l’Anonimo, inoltre “Non devesi per ultimo trascurar la nobil Cappella” con arredi in argento massiccio e una statua in marmo della Beata Vergine con putto, opera del Puget.

Federico Alizeri, 1846 (Manuale del forestiere per la città di Genova)

Questo è il lotto più piccolo di Strada Nuova, ma Tobia Pallavicini vi costruì uno dei più bei palazzi di Genova.
Federico Alizeri, nel Manuale del 1846, scrive in proposito: «Il disegno di questo palazzo è di Giambattista Castello; che nel portico e nell’antisala del piano superiore colorì a fresco diverse Deità e bizzarre grottesche, adornando l’una e l’altra con plastiche di sua invenzione.
[…] Nella galleria dipinse a fresco l’abate Lorenzo Deferrari che vi rappresentò varii argomenti dell’Eneide di Virgilio»


Federico Alizeri, 1875

Prima dei Signori Cataldi, il palazzo fu proprietà dei Marchesi Carrega, ma venne eretto per volere di Tobia Pallavicini: «Il 23 marzo del 1558 i Deputati all’Opera del S. Lorenzo e di Strada Nuova, vendevano in calega pubblica al patrizio Tobia Pallavicino per prezzo di lire 14520 quest’area […] Fra il comprar del terreno e l’imprender delle opere non veggo intervallo di tempo» .
Il lotto acquistato da Tobia Pallavicini, risulta il più piccolo di Strada Nuova; il ricchissimo re dell’allume (in questo modo era conosciuto Tobia Pallavicini), decise quindi di stupire i contemporanei creando uno straordinario ciclo decorativo all’interno del palazzo.
Nel vestibolo, dentro quadrature a stucco dei fratelli d’Aprile, il Bergamasco realizzò «figure sì delicate, sì condecenti sì raffaellesche» .
L’Antisala viene descritta con meraviglia da Alizeri: «I nostri palazzi non hanno Antisala o più vaga alle linee, o più ricca di plastiche, o più lieta d’affreschi. […] al Bergamasco van nuove lodi per quell’Apollo e per quelle Ninfe che da tre sfondi festeggiano agli ospiti, […] ai d’Aprile s’aggiunge merito pel molto dei fregi che addobbano i muri» .
I Marchesi Carrega affidarono la realizzazione della Galleria a Lorenzo de Ferrari; Alizeri ne è talmente entusiasta da asserire: «non sarò frettoloso a correr con voi la presente Galleria […] lascerò che […] consideriate con quanto amore Lorenzo acconciasse e nel mezzo e ai due capi quelle storie d’Enea colorite a buon fresco, e con quanto giudizio inserisse que’ tondi ad olio fra i varj conserti decorativi; i quali tutti disegnò di sua mano e diresse a suo senno, perché le dovizie dei possessori versandovi l’oro in larghissima copia, non tanto facessero ricco il ritrovo degli ospiti, quanto elegante e piacevole a mettervi gli occhi» 

Bibliografia


P. Torriti, "Tesori di Strada Nuova, la via aurea dei genovesi", Genova, Cassa di risparmio di Genova e Imperia 1970.

E. Poleggi, "Strada Nuova una lottizzazione del Cinquecento a Genova", Genova, Sagep Editrice, 1972.

E. Poleggi (a cura di), "Una Reggia Repubblicana Atlante dei Palazzi di Genova 1530-1664", Torino, Umberto Allemandi & C., 1998.

C. Bartolini, E. Manara, "Palazzo Tobia Pallavicino", Genova, Sagep Editori, 2008.

Bibliografia Guide


  • Alizeri Federico, (Attribuito a) Manuale del forestiere per la città di Genova, Genova, 1846 pag. 340-341
  • Alizeri Federico, Guida illustrativa del cittadino e del forastiero per la città di Genova e sue adiacenze, Bologna, Forni Editore, 1972 pag. 199-200
  • Poleggi Ennio e Poleggi Fiorella (Presentazione, ricerca iconografica e note a cura di), Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818, Genova, Sagep, 1969 pag. 156-157
  • Ratti Carlo Giuseppe, Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura scultura et architettura autore Carlo Giuseppe Ratti pittor genovese, Genova, Ivone Gravier, 1780, pag. 280-281

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022