Estremo Ponente Ligure

 

Possiamo considerare come Estremo Ponente Ligure quel tratto di costa della Liguria di Ponente che si estende da Capo Cervo, a oriente di Imperia, fino al confine francese, in prossimità di Ventimiglia.
Questo tratto di Riviera, che è il più meridionale di tutta la costa ligure, è caratterizzato da un susseguirsi di ampie insenature, delimitate da brevi capi dalla linea morbida che si protendono nel Mar Ligure, creando una costa piuttosto bassa, solo a tratti rocciosa.
A poche centinaia di metri dal mare, dopo una breve zona pianeggiante, inizia la verdeggiante cornice collinare, che si stende varia, con linee dolcemente ondulate o con picchi che formano profonde vallate.
Le piane e i fianchi delle colline sono costellati di borghi e paesi inframmezzati dovunque da numerose serre, segno di quella produzione che è valsa a questa zona il nome di Riviera dei Fiori.

Letteratura


Il dottor Antonio di Giovanni Ruffini

 

Nell'ottobre del 1855 viene pubblicato a Parigi, Edimburgo e Londra il Doctor Antonio: a tale by the author of Lorenzo Benoni, un romanzo popolare italiano, anche se scritto in inglese che, per il suo intreccio ben calibrato di temi sentimentali e patriottici su sfondi del più tipico paesaggio ligure, divenne uno dei libri più letti tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.
Al romanzo, scritto da Giovanni Ruffini, venne però attribuito anche il merito di aver contribuito in modo determinante allo sviluppo turistico di Bordighera e del Ponente Ligure determinatosi nella seconda metà dell'Ottocento.

Tali meriti promozionali de Il dottor Antonio sono attestati da Edmondo de Amicis nell'articolo Il paradiso degli Inglesi, uscito il 14 aprile 1903 sull' Illustrazione italiana«Non credo che il buon commerciante d'olii, dal naso rosso e dal pizzo bianco, che interrogai al proposito, m'abbia nominato primo fra i benemeriti il romanziere Giovanni Ruffini solo per far cortesia alla letteratura. E' un fatto che fra i primi inglesi che vennero qui a passar l'inverno non c'era nessuno che non avesse letto Il dottor Antonio [...] e della gran rinomanza fatta a Bordighera da quel romanzo in Inghilterra hanno coscienza i Bordigotti, i quali professano alla memoria del Ruffini una vivissima gratitudine.»
Tratto da “Doctor Antonio” di Giovanni Ruffini. Tra successo ed oblio di Francesco De Nicola

Ancora oggi, nonostante possano esserci tesi che minimizzano o riducono l'importanza promozionale del testo di Ruffini, e nonostante le riserve espresse dallo stesso autore, la convinzione della sua determinante e positiva influenza è confermata all'interno del sito del Comune di Bordighera alla voce Gli inglesi a Bordighera.
Il lettore de Il dottor Antonio, in effetti, non può non percepire l'affetto provato dall'autore nei confronti dei luoghi che descrive in modo pittorico e poetico, non dimenticando, però, di tratteggiare anche gli aspetti storico-culturali dei luoghi, visti soprattutto con gli occhi della gente comune. Si possono individuare nel romanzo descrizioni di luoghi diversi del Ponente Ligure, strettamente intrecciate alla vicenda e spesso parte integrante della stessa.

Maineri, Baccio Emanuele

Luoghi

Strada della Cornice

Giovanni Ruffini inizia il primo capitolo del romanzo Il dottor Antonio con una vibrante descrizione del percorso chiamato strada della Cornice: «[...] strada, come ognun sa, che percorre da Genova a Nizza tutta la riviera di ponente. Poche strade più belle di questa sono in Europa; e poche certamente, come questa, riuniscono in sé tre condizioni di bellezza naturale: il Mediterraneo da un lato, dall'altro gli Appennini e di sopra il puro cielo d'Italia. Oltre a ciò, l'industria dell'uomo ha fatto ogni sforzo, se non per superare, almeno per non rimanere inferiore alla natura. Un seguito di città e paeselli alcuni graziosamente stesi sulla riva, bagnati ai piedi dalle onde argentine; altri sparsi come una mandra di bianche agnelle sui fianchi della montagna o pittorescamente elevati sulla cima di una catena di monti sublimi; qua e là qualche santuario sospeso in alto sopra uno scoglio bagnato dal mare o mezzo perduto sulla collina fra il verde del bosco; palazzi marmorei e ville dipinte sorgenti tra vigneti aprichi, giardini vagamente fioriti e boschetti di aranci e di limoni; un'infinità di bianchi casini con gelosie verdi, sparsi per i clivi di quei colli, sterili un tempo, ora coperti di terrazzine, l'una sull'altra elevate a raccogliere il poco terreno e vestiti in cima di oliveti; tutto insomma quanto v'è, creazione della mano dell'uomo, mostra l'operosità e l'industria di una razza di popolo vigorosa e gentile. Costretta lungo la costiera capricciosamente dentata, la strada va innanzi irregolare e serpeggiante; talora a livello col mare fra spalliere di tamerici, aloe ed oleandri: talora su qualche scosceso fianco di monte, in mezzo a nere foreste di pini, sorgenti in tanta altezza che l'occhio si ritrae spaventato dal guardare l'abisso soggetto; qua nascosta dentro gallerie scavate nel vivo sasso; là scoperta fra una lunga estensione di terra quasi volesse aprirsi il passo fra il monte; tale altra spiegata all'improvviso in opposta direzione quasi volesse precipitarsi a capofitto nel mare.»

Della strada della Cornice Ruffini offre anche, nel corso del romanzo, in occasione della gita dei protagonisti a Castellaro, un breve excursus storico sulle origini e la costruzione della strada stessa, espresso dal protagonista patriota dottor Antonio: «[...] “Dunque questa bella strada è opera moderna?” continuò egli. “Affatto moderna” rispose Antonio. “La strada attuale della Cornice fu finita solo nel 1828; e ne siamo debitori a questo incidente, chè Carlo Felice, il sovrano allora regnante amava estremamente Nizza, ove risiedeva sovente. La via che faceva recandovisi da Torino era naturalmente quella del Colle di Tenda. Avvenne ora, durante una di quelle visite a Nizza, che una grossa neve caduta gli rese impossibile tornare a Torino per l'usata strada. Rimaneva l'unica alternativa di andar per mare a Genova, donde Sua Maestà avrebbe potuto facilmente recarsi alla capitale. Si imbarcò pertanto, ma per il tempo minaccioso e il mare grosso fu costretto a tornare indietro. Il popolo della Riviera, che invano aveva tentato per lungo tempo di ottenere il permesso di aprire una strada lungo la costa, colse quell'opportunità. Avrei dovuto dire che il Governo del Piemonte, insieme agli Stati della Repubblica di Genova, ne aveva ereditato i pregiudizi intorno alla strada verso la Francia. Le popolazioni delle città e dei villaggi si levarono allora in massa con i loro Sindaci e Curati in testa ed empirono burroni e rimossero scogli in breve tempo. “Ecco, Maestà, una strada a vostro comando” gridarono ad una voce. E Sua Maestà si compiacque graziosamente di accettare quell'omaggio. Ordini infuocati arrivarono da Torino che imponevano alla Riviera di cessare quell'opera, ma un giorno troppo tardi, chè la strada era fatta e il Re e i cortigiani l'avevano già sanzionata.”»

 

Taggia

Panorama di Taggia (foto di Mattia Anselmi)

«[...] perchè eccoci al fine della corsa sul mare” aggiunse il dottore guardando all'intorno. “E' qui, proprio innanzi a noi fra quei due monti gentilmente rientranti, che la piccola valle di Taggia si stende dentro terra e quel fiumicello cadente nel mare, un cento passi innanzi a noi a levante, è l'Argentina, l'orgoglio degli abitanti della valle; e ogni tanto anche il loro flagello: ché quando è ingrossato dai torrenti della montagna, mugghia come toro infuriato etrascina con sé ogni cosa.”» Ecco come Giovanni Ruffini introduce la descrizione del paese di Taggia, che i protagonisti del suo romanzo vedono, giungendo dal mare, in una limpida giornata di giugno.

Una volta sbarcati essi ammirano gli uliveti e il dottor Antonio si profonde in una spiegazione sulle difficoltà della coltivazione degli olivi: «[...] “e se la stagione lo permette, queste cosucce bianche nel prossimo gennaio saranno trasformate in lucidi grani neri, i quali poi macinati al mulino ci danno l'olio. Indi la morchia trita, lavata e asciugata, diventa ottimo combustibile; mentre le foglie secche si adoperano per concime. Il legno d'olivo, come sapete, è molto pregiato dagli ebanisti per i più fini lavori. Per la qual cosa vedete che di quest'albero nessuna parte manca del suo valore.” [...] “la raccolta è buona soltanto ogni due anni [...] Aggiungete che la coltivazione dell'olivo è costosa. [...] cesserete, credo, di far le meraviglie come questo ricco prodotto dia soltanto una rendita povera.”». Quando poi i protagonisti giungono «[...] in vista delle due torri scure, coperte di edera, dominanti l'ingresso della città», il buon dottore accenna ai diversi saccheggi compiuti sulle coste della Riviera dai «Corsari barbareschi».

 

«Così dicendo il dottore e i suoi compagni entravano nella piccola città: luogo invero di strana apparenza, con colore e un'aria decisa da medio evo; pieno a dritta e a sinistra di tetre volte e di archi reconditi, alcuni dei quali all'improvviso si aprivano sopra verdi ed apriche vedute, che rianimavano proprio lo sguardo. Miss Lucy faceva le meraviglie per il gran numero di ponti gittati da casa a casa a sopraccapo della via: i quali, a dir del suo Cicerone, erano fatti per guarentigia delle frequenti e spiacevoli visite del terremoto. Un'altra cosa era inesplicabile per la giovine inglese, il veder di tratto in tratto sugli scalini esterni delle porte canestri pieni di aranci, limoni ed erbaggi, senza alcuno che stesse a guardarli. [...] La nostra comitiva giungeva allora in una via più vasta delle altre, ove erano riunite in crocchi moltissime persone di ogni classe: signori, preti, agricoltori e artigiani, mentre altre andavano vagando sotto i portici che si stendevano da ambo i lati della via “Questo è il Pantano ” disse il dottor Antonio “la Borsa ed il Regent Street ad un tempo dei buoni abitanti di Taggia.[...]”».

Giunti poi nella posizione più elevata del Santuario della Madonna di Lampedusa, i protagonisti godono dello splendido panorama della valle di Taggia: «A tramontana una lunga veduta di gole profonde, tetre, accigliate, chiuse in distanza da una gigantesca striscia di alpi nevose; a mezzodì la splendida ampiezza del Mediterraneo; a levante e ponente, l'una sopra l'altra, catene di colline gentilmente ondulate, dolcemente abbassantesi verso il mare; nella pianura soggetta, la fresca e raccolta valle di Taggia col suo corso di acque zampillanti e ricche zone di giardini, simili a un perfetto mosaico di ogni gradazione di verde, interrotto da serpeggianti arabeschi argentei. Di tratto in tratto un tardivo melograno in piena fioritura spandeva la sua orifiamma di abbaglianti fiori rossi dalla forma di tulipano. Sorgeva sull'opposto poggio la minacciosa Taggia, colla sua aria di medio evo, simile ad ospite malcontento in uno splendido banchetto. Un poco più in là, verso ponente, l'occhio scorgeva il campanile della chiesa dei Domenicani, sporgente da un gruppo di cipressi, e più in là ancora, sull'estremo orlo del declivio di ponente, il Santuario di Nostra Signora della Guardia col suo bianco contorno spiccava sul cielo cupamente azzurro»

Castellaro

Panorama di Castellaro (foto di Mattia Anselmi)

Percorrendo la via che porta al paese, che fa esclamare al Baronetto inglese “Non vidi mai un rompicollo di strada come questo”, il dottor Antonio e i suoi compagni giungono «ad un ponte che congiungeva le due rive della piccola valle. In faccia, sopra una cresta elevata, sorgeva Castellaro inondato dai raggi solari. “Quanto è splendido è bello!” disse Lucy; “è il più gaio paesetto del mondo; si potrebbe immaginare che Castellaro senta la felicità dell'esistenza.” [...] L'aria elastica della montagna, fortemente impregnata del piccante profumo del rosmarino e del timo crescenti in abbondanza all'intorno, cominciavano ad operare quasi gentili stimolanti sui nostri viaggiatori [...]».

E i nostri viaggiatori, attraversato il paese di Castellaro, si avviano verso il Santuario della Madonna di Lampedusa: «Una strada larga e piana e ben tenuta, da Sir John chiamata strada da cristiani, partiva dal villaggio verso tramontana; e svolgendosi sul pendio della scoscesa montagna in capricciosi zig-zag, ora nascondeva, ora lasciava vedere il prospetto del Santuario adombrato da due querce di smisurata grandezza. “I Castellaresi che hanno fatto questa strada col sudore della loro fronte” disse Antonio “la mostrano con orgoglio e ne hanno ragione. Vi raccontano con compiacenza come ciascuno dei ciottoli di cui è selciata fu portato su dalla riva del mare, quelli che avevano mule adoperandovele e quelli che non ne avevano portandone carichi sulle spalle; vi raccontano come tutti, signori e contadini, vecchi e giovani, donne e fanciulli, lavorassero giorno e notte senz'altro eccitamento che l'amore per la Madonna. La Madonna di Lampedusa è la loro fede, la loro occupazione, il loro orgoglio, il loro Carroccio, la loro idea fissa.”»

 

Facciata del Santuario della Madonna di Lampedusa presso Castellaro (foto di Mattia Anselmi)

Alla domanda della curiosa Lucy sulle origini di quel culto così radicato, il dottor Antonio ha come sempre una spiegazione: «“Quanto si riferisce all'immagine miracolosa” rispose Antonio “alla data e al modo della sua traslazione a Castellaro, ci è detto per disteso in due iscrizioni. Una è in latino, l'altra in cattivi versi italiani e si possono vedere nell'interno della piccola cappella del Santuario. Andrea Anfosso, nativo di Castellaro, capitanando un bastimento in corsa, fu un giorno assalito e disfatto dai Turchi e portato all'isola di Lampedusa. Quivi gli riuscì di fuggire [...] Anfosso, che era un uomo pieno di espedienti, si mise allora a costruire un battello. Ma trovandosi in grande imbroglio per la vela, si arrischiò al passo ardito e originale di prendere dall'altare, di non so quale chiesa o cappella dell'isola, un quadro della Madonna per servirsene di vela. La cosa corrispose a meraviglia al suo intento, ché fece un viaggio singolarmente felice di ritorno alle sue rive natie; e in un accesso di generosità offrì quella santa tela all'adorazione dei suoi concittadini. [...] Per universale acclamazione, scelto un posto a circa duecento passi dall'attuale Santuario, vi fu eretta una cappella, ove con ogni debito onore venne riposto il dono. Ma la Madonna, a quel che pare, aveva un'insormontabile avversione per quel luogo, ché ogni mattina da Dio creata in terra il quadro era trovato nel luogo preciso dove sta ora la chiesa. [...] Alla fine i castellaresi vennero a capire essere volontà espressa della Madonna che fosse il suo quartier generale collocato dove la sua effigie si trasferiva ogni notte. E benchè le fosse piaciuto scegliersi la più scoscesa parte della montagna, ché proprio era necessario farvi delle arcate per porre stabili fondamenta al suo Santuario, pure i castellaresi si posero con amore a quell'impresa loro sì chiaramente rivelata; e questa Cappella, nei dintorni tanto famosa, fu compita. Ciò accadde nel 1619. In decorso di tempo vi furono annesse alcune camere, per comodo dei viandanti e pellegrini e costruita una terrazza [...]”».

Quadro miracoloso della Madonna di Lampedusa (foto di Mattia Anselmi)

Seguendo i due giovani promessi sposi, Speranza e Battista, devoti servitori dei nostri protagonisti, entriamo nel piccolo Santuario della Madonna di Lampedusa: «L'altare su cui sta l'immagine miracolosa, nascosta bensì da una cortina all'occhio dei profani, è riccamente ornato e le mura intorno, come quelle delle due cappelle minori a dritta e a sinistra della navata, sono coperte di voti [...] Vi sono anche molte piccole pitture primitive, delle quali nove su dieci hanno l'intenzione di rappresentare bastimenti che affondano in orridi mari, con onde fuor di natura, e con la Madonna seduta sopra una nube che li guarda placidamente.»

Come sempre la giovane Lucy pone la sua domanda: «[...] “come mai questa gente può credere che una pittura così piccola abbia potuto servire di vela?” “La vostra osservazione, mia cara miss Davenne puzza orribilmente di eretico” rispose gravemente il dottore. “Se la pittura fosse stata di dimensione conveniente, in che sarebbe consistito allora il miracolo?”»

 

Sanremo

La “corsa sul mare” per raggiungere il Santuario della Madonna di Lampedusa, meta dei protagonisti Antonio e Lucy e dei promessi sposi Battista e Speranza, era iniziata da Bordighera: «Il 26 giugno, pertanto, Sir John, sua figlia e Antonio [...] lasciarono l'osteria in un agile barchetto [...] Collo sforzo combinato di una vela rigonfia da una lieve brezza e di tre paia di remi vigorosi, non stettero molto a superare il secondo Capo. San Remo, lo splendido e verdeggiante San Remo, sorgente in forma di triangolo e cinto dalle sette sue ridenti colline tutte coperte di ricchissima vegetazione, apparve allora in pieno alla loro vista. “Nascono naturalmente le palme in questa parte di paese?” domandò Lucy, indicando le piante onde era coperta la riva “o sono coltivate per bellezza?” “Credo che la loro bellezza sia il pregio minore [...] ogni anno se ne spediscono carichi in Francia e in Olanda [...] E in San Remo c'è una famiglia che da vari secoli ha tenuto e tiene ancora la privativa di fornir palme al così detto Palazzo Apostolico, cioè ai famigliari del Papa.”»

 

Le palme di Sanremo (foto di Mattia Anselmi)

Per intrattenere i suoi ospiti durante la traversata, lo squisito Dottor Antonio narra un aneddoto riguardante il motivo di questo privilegio di Sanremo di fornire di palme il Papa: «[...] il capitano di un bastimento mercantile, di nome Bresca, nativo di San Remo» impedì con il suo grido «Acqua, acqua! [...] bagnate le funi» la distruzione dell'obelisco eretto sulla piazza di San Pietro in Vaticano; infatti le funi che lo tiravano si erano allentate e Bresca «il quale forse nella sua vita di mare aveva dovuto sperimentare questo allentarsi delle funi di canape» con il suo grido, emesso nonostante l'assoluto divieto del Papa, permise che l'obelisco fosse innalzato nel mezzo della piazza; in premio il Papa gli concesse la fornitura annuale delle palme.

In uno dei suoi slanci oratori in favore degli Italiani, e dei liguri in particolare, il Dottor Antonio dice a Lucy: «[...] vi sono intere province - quella di San Remo, per esempio - nelle quali non un assassinio è stato commesso a memoria di uomo.»
E nel primo capitolo, durante la corsa in carrozza che causerà la frattura al piede di Lucy, Giovanni Ruffini, nel delineare il profilo un po' satirico di Sir John, scrive: «“Come si chiama questo paese?” chiede Miss Davenne “San Remo” rispondono. Sir John Davenne non approva quel nome [...] Se avesse Sir John Davenne tenuto un libro di memorie, probabilmente ci scriveva una nota di questo genere: “San Remo, paese di aspetto singolare, strade strette, mal selciate, case alte, irregolari, popolo cencioso, sciame di accattoni” [...] Fortunatamente per la fama di San Remo, Sir John non teneva un libro di memorie.»

Ospedaletti

Il golfo di Ospedaletti (foto di Mattia Anselmi)

La prima citazione di Ospedaletti si ha nel capitolo IX, quando Lucy e Antonio cospirano per salvare Battista dalla leva obbligatoria: «[...] Ho sentito, poco tempo fa, di un marinaio di Spedaletti, un paesello qui vicino, che ha finito il tempo e che, si dice, abbia gran voglia di riprendere servizio.»
E in uno degli intimi, lirici momenti in cui, portata finalmente all'aperto la fragile Lucy, ora sdraiata su una poltrona inventata appositamente per lei dal dottore e posta sulla loggia di fronte all'osteria, Antonio e Lucy si perdono nella contemplazione del panorama, Antonio dice: «“Ora, eccomi a fare il mio dovere di cicerone” disse il dottore in tono di scherzo. “Vedete quel piccolo villaggio, a pie' di quella montagna dirupata? Si chiama Spedaletti e da il nome al golfo.” “Qual nome singolare, Spedaletti! Significa piccolo spedale, n'è vero?” “Si. Uno dei miei amici, che si pregia di essere un pò antiquario, pretende di avere accertata l'origine del nome. Egli dice che una nave appartenente ai Cavalieri di Rodi [...] mentr'era in crociera nel Mediterraneo non mi rammento in qual secolo, sbarcò parecchi uomini malati di contagio in questo luogo. Vi furono erette alcune baracche per ricoverarli e quelli stessi edifizi, a quel che dice il mio amico, servirono di primo nucleo al paesetto attuale [...]” “E ci sono ancora ospedali?” domandò Lucy. “No, Spedaletti è al presente abitato solo da robuste famiglie di industriosissimi pescatori, ai quali non manca mai occupazione. La natura, che fece questa baia sì amabile, la fece pure sicura e da potersi fidare. Ripararta a ponente dal capo di Bordighera e a levante da quei tre promontori, per quanto il mare sia grosso al di fuori, dentro è relativamente quieto: e i pescatori di Spedaletti stanno in mare con qualsiasi sorta di tempo.”»

Quando poi, dopo i primi passi di Lucy appena guarita, Antonio le offre una gita in battello, ancora una volta i due osservano, dal mare, il panorama della riviera dell'estremo ponente ligure: «Ma il golfo di Spedaletti, e quei tre noti promontori a levante, trovarono un caldo avvocato in Lucy, la quale difendeva la loro superiorità. Confessava che la veduta verso le coste della Francia era più svariata ed estesa; ma dichiarava che non aveva quell'armoniosa unità e il carattere di melanconica grandezza onde era distinta la veduta dell'osteria. “Un pittore” disse Lucy “potrebbe preferire la prima; ma un poeta, ne sono sicura, troverebbe quest'ultima più ferace di pensieri e d'immagini insinuantisi nel cuore.”»

Bordighera

Bordighera è il luogo in cui nasce e si sviluppa l'idillio tra Antonio e Lucy, in una modesta osteria dove il servizievole e competente dottore sistema la sua illustre paziente, per la cui tranquillità i proprietari dell'osteria modificano totalmente il loro stile di vita.
Sir John aveva accompagnato la figlia Lucy a Roma, per un soggiorno italiano che doveva essere favorevole alla sua cagionevole salute. Sulla strada del ritorno in Inghilterra Sir John era intenzionato a fermarsi prima a Nizza e poi a Parigi.
Mentre percorrevano la Liguria in carrozza, però, accadde l'incidente che li costrinse al soggiorno forzato a Bordighera: «Poco dopo che Sir John ebbe chiusi gli occhi, la strada, che per un tratto era andata salendo, cominciava a discendere [...] e presto si biforcava: il minor ramo salendo su dritto per un piccolo promontorio che chiudeva l'orizzonte a ponente, uno spazio di terra verde ridente, con un campanile e dei tetti qua e là illuminati dal sole [...]»
Proprio mentre stanno giungendo a Bordighera la carrozza si ribalta, Lucy si frattura un piede e viene portata all'osteria: questo luogo appare ostile al Baronetto inglese, così come i suoi suoni sconosciuti: «Le campane delle chiese di Bordighera che suonavano il Deprofundis, un'ora di notte; le voci dei pescatori che si chiamavano l'un l'altro in distanza; lo stesso mugghìo del mare che si rompeva quietamente sulla spiaggia avevano un non so che di sinistro all'orecchio del Baronetto.»
Ma non è della stessa opinione la bella Lucy, che al contrario si innamora subito, oltre che del dottore, dei luoghi e soffre di dover stare chiusa in una stanza senza rivederli: «“Sapete voi, dottor Antonio,” continuò Lucy dopo un istante “che mi sa mill'anni di levarmi per rivedere quella collinetta aprica soleggiata, che si stava proprio di faccia quando ribaltammo? Mi piacerebbe vederla con quiete, non di passaggio a galoppo serrato.” “Volete dire il Capo di Bordighera” disse Antonio. “Si, lo suppongo. Io m'era mezzo addormentata quando papà, chiamando il postiglione, mi ridestò e aprendo gli occhi vidi alla sfuggita qualche cosa di verde, di sì fresco, di sì bello: solo un'occhiata, ma raccogliente tante amabili cose, la cui memoria mi insegue quasi la visione di un paese fatato.”»

 

Chiesa di Sant'Ampelio situata sull'omonimo Capo (foto di Mattia Anselmi)

Quando poi finalmente la giovane inglese venne portata sulla loggia dell'osteria e potè contemplare il panorama in tutto il suo splendore: «“Che bellezza! Quale squisita bellezza di paese!” esclamò la giovinetta con gli occhi che le si aprivan più larghi come ella guardava intorno. “E poteste temere, o sol pensare un momento” volgendosi al dottore “che la mia fantasia potesse andare oltre a una realtà come questa? Nessuna immaginazione, neppur di poeta, potrebbe nei suoi slanci più energici rappresentare tanta meravigliosa bellezza.” [...] Ed era davvero una bella scena. Sta dinnanzi l'immensità del mare liscio come uno specchio e splendido delle tinte cangianti di un collo di colomba, il verde lucente, il porporino scuro, il soave oltremare, l'azzurro cupo di una lma di brunito acciaio; talora scintillante al sole come diamanti, talora ripiegantesi a mo' di nastro in rete di nivea spuma. Si distacca fortemente su questo splendido sfondo un gruppo di pescatori [...] Sulla dritta, verso ponente, l'argentea striscia della strada ondulata fra case sparse qua e là o tra chiuse di aranci e di palme, conduce l'occhio al promontorio di Bordighera: un masso enorme di smeraldo, che chiude l'orizzonte, tagliato in forma di balena coricata colla sua larga coda sepolta nelle acque. Ivi in piccolo spazio - vista veramente rinfrescante - vi si presenta ogni gradazione di verde che può rallegrar l'occhio: dal pallido grigio dell'olivo alle scure foglie del cipresso; uno dei quali, di tratto in tratto, come isolata sentinella, si stacca elevato di mezzo al rimanente. Gruppi di piumate palme, colla cima illuminata dal sole e il resto nell'ombra, stendono i loro larghi rami come creste di guerrieri sulla cima, ove lo snello profilo della guglia torreggiante della chiesa si disegna spiccato sul cielo purissimo. La costa a levante si addentra nella terra in curva graziosa, poi con gentile sporto a mezzogiorno si perde nel mare lontano lontano. Tre capi sorgono da questa mezzaluna [...] tre capi di diverso aspetto e colore, giacenti l'un dietro l'altro. Il più vicino è un nudo scoglio rossiccio [...] il secondo, riccamente boschivo, porta, quasi mural corona, un lungo villaggio sulla sua cresta; il terzo pare in distanza nebbia azzurra con una macchia bianca. [...] Terra, mare e cielo, mescolano i lor diversi colori; e dalle loro varietà, come dalle note di una ricca e piena arpa, sorge una grandiosa armonia. Atomi d'oro galleggiano nell'aria trasparente e un'aureola color madre perla corona i taglienti contorni delle montagne.»

 

Disegno di Gino De Bini, tratto dall'edizione illustrata de Il dottor Antonio, del 1892

«“Amo questa Bordighera!” disse Lucy dopo una breve pausa. “Bella com'è,” osservò Antonio “vi ruba allo sguardo un'estesissima e magnifica veduta delle coste di Francia.”»

Poi Bordighera viene osservata dal battello sul quale Lucy compie la sua gita da convalescente: «La barchetta di ritorno si trovava allora proprio dirimpetto a Bordighera. “Che cosa è sull'altura un po' verso questo lato della città” domandò Lucy “quella cosa che pare una massa di ruine?” “E', anzi era, una batteria aperta. Nella storia che la concerne, siccome c'entrano inglesi, così potrà forse dilettarvi.”»
E Antonio si lancia in uno dei suoi aneddoti che riguarda la guerra tra un brigantino inglese e Bordighera, una guerra durata due mezze giornate e conclusasi con un banchetto: «Gl'Inglesi portarono il sindaco a bordo della fregata, lo condannarono ad...un eccellente pranzo e lo rimandarono la sera in stato molto gioviale, con la chiave del corpo di guardia in saccoccia.»

Il burbero Sir John viene letteralmente conquistato dalla bellezza e dalle attrattive di Bordighera, tanto da dedicarsi a un progetto che: «[...] consiste nel fare una collezione delle più belle pianticelle di aranci e di palme che si trovano nel vicinato, per indi trapiantarle nella residenza signorile di tutti i Davenne. [...] Il Baronetto prosegue il suo progetto con instancabile ardore, è già in relazione con tutti i proprietari di palme in Bordighera - Bordighera che, in fatto di palme, non ha rivale [...] Il vecchio gentiluomo ha insensibilmente preso il colore dell'atmosfera nella quale vive. Il cielo, il mare, la soave profumata brezza hanno anche agito sopra di lui. Annibale ha trovato la sua Capua».

Vinto dalle grazie di Bordighera, Sir John chiede al dottor Antonio se: «[...] una più lunga dimora possa giovare a rinvigorire il temperamento della sua adorata figlia. Antonio non esita a rispondere: “Io non ne dubito. Questo clima è salubre quanto ogni altro al mondo e le abitudini quiete e regolari e l'assenza di ogni agitazione, sono la vera panacea per una persona delicata quale è miss Davenne. Sono sicuro che un corso di bagni di mare, durante la calda stagione, le farebbe molto bene.”»
Le amorevoli raccomandazioni del dottor Antonio rimandano alla memoria di quella letteratura medica inglese fiorita a metà dell'Ottocento, che illustrava i benefici effetti terapeutici del clima del Ponente Ligure sulle malattie polmonari, allora diffusissime nei paesi del Nord, come Mentone and the Riviera as a winter climate di J. Henry Bennet.

Bordighera e il suo clima, insieme al dottor Antonio, hanno curato e fatto innamorare la dolce Lucy che, otto anni dopo aver dovuto lasciare con grande rammarico quei luoghi, torna in una piovosa primavera a ricercare la felicità e la salute perdute: «[...] e quando la carrozza ebbe passato Ventimiglia e cominciò a spuntare fra la nebbia piovosa il primo di quella serie di promontori che proiettava in forma di mezzaluna una cerulea linea del mare, la bella viaggiatrice fu tanto oppressa dalla commozione [...] Fuori della nostra soave eroina, chi avrebbe mostrato tanto affetto alla vista di Bordighera?»

Verso la Francia

All'inizio della già citata prima gita in battello di Lucy, si apre di fronte a lei per la prima volta dal mare il suggestivo panorama oltre il Capo di Bordighera: «Non c'era una ruga nel mare, il cui splendido turchino era solo di tratto in tratto interrotto da larghe strisce biancastre [...] Rapidamente scorrevano oltre il Capo di Bordighera e allora un nuovo e splendido panorama si dispiegava loro innanzi. Una mirabile estensione di coste ondulate di colline sopra un fondo di alte montagne distese in semicircolo da levante a ponente e di tratto in tratto interrotte da capi e baie e seminate di città e villaggi singolarmente caratteristici: Ventimiglia con la sua corona di castelli del medio evo smantellati; Mentone sì gaia sulla riva aprica; Roccabruna così ben chiamata dalle scure e accigliate sue tinte; Turbia e il suo monumento romano, memoria del più grande impero che sia stato in terra, la quale ora adombra sotto di sè il diminutivo principato di Monaco; Villafranca e il suo faro. Più in là, correndo a mezzodì, traspariva vaporosa in distanza la lunga e bassa striscia delle coste di Francia, con Antibo alla sua estremità; e più in là ancora a ponente, le fantastiche linee azzurre dei monti di Provenza. Qua e là una cima nevosa spiccava arditamente fra le altre; si sarebbe detta qualche canuta alpe progenitrice affacciatasi a vedere se tutto andasse bene tra i suoi più giovani rami.»

Ruffini regala l'ultima descrizione di questa riviera nel momento in cui la vicenda di Lucy si avvia verso il suo tragico epilogo: «Siamo alla metà di marzo del 1848, in quella stessa strada su cui, otto anni fa, incontrammo la prima volta Lucy e suo padre; e come allora l'oggetto principale è una carrozza da viaggio, che dalle alture di Turbia corre giù verso il lontano Mentone cinto dal mare. Un cielo coperto, un mare color di piombo, un orizzonte stretto e grigio, chiuso verso la marina e verso la terra da una fosca zona di pioggia cadente; tale è ora lo spiacevole aspetto del paese attraverso il quale l'equipaggio trascorre. Gli oliveti della valle e dei colli tremano agitati sotto l'impetuosa forza del vento che passa loro sopra; mutandosi in rapida vicenda da bianco allo scuro e dallo scuro al bianco, secondo che il soffio agita o il lato bianco o il verde cupo delle foglie. [...] La povera bella riviera pareva di certo, in quel triste giorno, miseramente diversa da se stessa [...]». L'aspetto della riviera rispecchia quello della povera Lucy, alla ricerca del suo amore mai dimenticato.

 

Bibliografia


Enzo Bernardini e Giuseppe Bessone - Bordighera ieri - Città di Bordighera, 1996 pp. 137 - 149

Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio - De Ferrari Editore, Genova, 2000, con la prefazione “Doctor Antonio” di Giovanni Ruffini. Tra successo ed oblio di Francesco De Nicola pp. 9 - 17

Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio - De Ferrari Editore, Genova, 2000, pp. 21, 23, 26, 40, 71, 98, 102, 103, 104, 109, 112, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 153, 188, 189

Enzo Bernardini e Giuseppe Bessone - Bordighera ieri - Città di Bordighera, 1996